Tutti abbiamo accompagnato, almeno una volta nella vita, la nonna, la zia, l’amico, o comunque un parente (spesso anziano) in ospedale. Normalmente in direzione Pronto soccorso. Ma sovente anche per altre pratiche, tipo le cosiddette “lastre”, ossia le radiografie. O il consulto dello specialista. O il parere del dottorone. E via dicendo.
Bene. Alzi la mano, tra quelli che hanno fatto da autista, chi invece di andare a due passi da casa ha tirato, tanto per dirne una, in Toscana. O in Umbria. O in Emilia. Insomma: “Portami ovunque, ma non nel Lazio”. Una scelta arcaica, che può nascere da “non mi fido” o “non mi sono trovato bene”, per arrivare fino a “sono costretto, sennò qui ci muoio di vecchiaia”.
Scendiamo nello specifico. “I pazienti del Lazio si sottopongono a Tac e a Pet in altre regioni e non nella loro – apre la dottoressa Jessica Veronica Faroni, presidente Aiop Lazio (un’associazione ospedaliera privata, ndr) – Sono costretti a viaggiare per eseguire esami diagnostici oncologici. Vanno in Molise e in Campania, in strutture private per le quali la Regione Lazio paga la prestazione sanitaria. Quando proprio qui, nella nostra regione, disponiamo di strutture private accreditate che potrebbero erogare esami di questo tipo ma non sono autorizzate”.
La domanda ora, come diceva quello, è: perché? “Perché la Regione non consente ad altre strutture private accreditate a vocazione oncologica di poter erogare le stesse prestazioni? – ancora lei – Stando agli ultimi dati contenuti nel Decreto del Commissario ad acta, risultano circa 6.000 prestazioni nell’anno 2014, tutte pagate dalla Regione Lazio. Gli ultimi dati ufficiali pubblicati da ASP Lazio, risalenti all’anno 2011, registravano 4.907 esami effettuati fuori, per un valore economico a carico pari ad euro 5.293.070”.
Per non parlare poi, oltre al danno economico collettivo, del fatto che ogni santo paziente (anche quelli ridotti male) è costretto a prendere le sue cosine e migrare. Una follia, si direbbe. “Permettere alle strutture private accreditate nel Lazio di eseguire questi esami – chiude la Faroni – quali Tac e Pet in convenzione, non graverebbe sulle finanze della Regione Lazio, anzi ridurrebbe in modo rilevante la mobilità passiva, garantirebbe un servizio ai cittadini, porterebbe ad un risparmio dei costi, favorirebbe lo sviluppo del lavoro territoriale, potenzierebbe le risorse sanitarie della stessa Regione e potrebbe addirittura trasformare l’attuale mobilità passiva in mobilità attiva”.