“Comprate pomodoro italiano. E vostro figlio crescerà fresco, bello e sano”. Oppure: “Acquistate solo italico rosmarino. Per un corpo tosto e un cervello genuino”.
Con un comunicato choc (e non coque, quello sarebbe l’uovo) Coldiretti spara a zero su una serie di “prodotti” esteri che per un motivo o per l’altro son giunti in casa nostra. E senza manco bussare. “Ecco la black list”, dicono i vertici in giallo. E noi ve la riproponiamo volentieri.
Dunque. Guai a chi si mangia i broccoli cinesi (che forse si chiamano “bloccoli”). La quasi totalità di essi risulta infatti irregolare. Gonfia di residui chimici. In sostanza è più salutare fare colazione con un panino con la porchetta, fegatelli, e una birra come si deve. Segue il prezzemolo del Vietnam (78% di irregolarità), affiancato dal basilico dall’India. Questi ultimi due, a vederli così, sembrano proprio di evidente matrice comunista.
Comunque. Le analisi sono state condotte dall’Efsa, agenzia europea per la sicurezza alimentare. E toccano la sfera dei residui di fitofarmaci in Europa. Nella classifica, scorrendo, si trovano pure le melagrane, le fragole e le arance dall’Egitto. Le famose arance egiziane, esattamente loro. Chiudono, il peperoncino della Thailandia e i piselli del Kenia (qui ogni battuta è fuori luogo).
“I problemi – sottolinea la Coldiretti – riguardano anche la frutta dal Sud America come i meloni e i cocomeri importati dalla Repubblica Dominicana. E la menta del Marocco. L’agricoltura italiana è invece la più green di tutta Europa, con 281 prodotti a denominazione di origine, il divieto agli ogm e grazie al maggior numero di aziende biologiche. Ma è anche al vertice della sicurezza alimentare mondiale con il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici irregolari. Occorre liberare le imprese italiane dalla concorrenza sleale delle produzioni straniere realizzate in condizioni di dumping sociale, ambientale con rischi concreti per la sicurezza alimentare dei cittadini”.
Perfetto e sacrosanto. A tutto ciò però vanno aggiunte un paio di riflessioni. Ma quando si comprano cetrioli lunghi un metro a dicembre, peperoni grandi come una Panda a febbraio, o tonnellate di agrumi a pochi centesimi il chilo, non viene qualche dubbio?
E ancora: la quasi totalità dei prodotti contaminati si può produrre anche qua, in Italia. Se si rispettasse la stagionalità, non sarebbe già un passo avanti?
Tre, di chiusura: siamo così sicuri che l’export sia la strada giusta? Non è forse meglio vendere sotto casa, al vicino di casa, al parente, a chi si e ci conosce?