Ottant’anni, ma non li dimostra. Il palazzo delle Poste di Viterbo festeggia gli otto decenni di vita con una giornata di incontri e manifestazioni organizzata dal direttore della filiale del capoluogo Luciano Tola, con la partecipazione di Tiziana Morandi, responsabile dell’area Centro (Lazio-Abruzzo-Sardegna), e di Mauro Di Palma, responsabile del museo storico dell’azienda. Al quarto piano dell’edificio (realizzato su progetto di Cesare Bazzani nel 1936), dal quale si gode un panorama mozzafiato della città, c’è praticamente l’intero consiglio comunale di Viterbo con una partecipazione multipartisan che testimonia l’importanza di un’istituzione nazionale che “ha fatto l’Italia”.
Le Poste italiane sono nate infatti nel 1862, 154 anni fa, praticamente subito dopo le imprese garibaldine e il primo atto di riunificazione dello Stivale. Per più di un secolo sono stati uno dei simboli della presenza dello Stato in ogni più sperduto bosco della Penisola: i carabinieri, il comune, la farmacia, la chiesa e, appunto, l’ufficio postale. In questi anni le cose sono ovviamente cambiate sia sul piano tecnologico che su quello della mission: l’azienda non è più statale, ma è diventata da qualche tempo una società per azioni e quindi è sul mercato con tutto quello che ne deriva (nel bene e nel male). Ma alcune caratteristiche sono rimaste immutate: la capillare presenza sull’intero territorio nazionale, la possibilità di depositare i propri risparmi, i servizi di corrispondenza.
“Le Poste – interviene l’ingegner Di Palma – non solo hanno fatto l’Italia, ma hanno fatto anche gli italiani. Si pensi ai libretti di risparmio inventati da Quintino Sella, ai vaglia postali che permettevano di non portare contanti addosso, all’assistenza prevista negli uffici alle persone analfabete con un impiegato che compilava i documenti, ai telegrammi che per decenni hanno tenuto insieme le famiglie. Ma si pensi anche agli oltre tre miliardi di lettere e cartoline spedite dai nostri soldati impegnati in guerra: era l’unico modo per far sapere a mogli, figli e genitori che erano ancora in vita”. Un aspetto sociale che non sfugge alla dottoressa Morandi: “Siamo cresciuti insieme agli italiani e in qualche modo abbiamo contribuito allo sviluppo del Paese. Per noi è importante il rapporto con i cittadini per questo è un piacere condividere questo momento degli 80 anni a Viterbo”.
L’imponenza della costruzione riflette le esigenze del duce e del regime dell’epoca. “Mio padre era partigiano e il fascismo è lontanissimo da me – aggiunge il sindaco Leonardo Michelini – ma devo riconoscere che l’edificio, progettato da un grande ingegnere come Bazzani, ha un suo fascino e una sua peculiarità: è una costruzione rappresnetativa”. “Abbiamo contribuito nel tempo – interviene Luciano Tola – a rendere più belle e accoglienti le nostra città. Sono veramente onorato di poter mostrare tutto questo in occasione dell’ottantesimo anniversario”. Il palazzo delle Poste fu realizzato dall’impresa Calabresi e costò all’epoca circa due milioni di lire: fu inaugurato esattamente il 21 aprile 1936.
Si susseguono le visite delle scolaresche, mentre sono in bella mostra alcuni autentici cimeli: le vecchie cassette postali, un telegrafo d’annata, timbri, annulli e altri oggetti che costituiscono un enorme bagaglio culturale che rappresentano un pezzo importante della nostra storia. C’è anche il modellino della Macchina di Santa Rosa (concessa dal Sodalizio Facchini, rappresentato dal presidente Massimo Mecarini) che sfilava nel 1936. All’epoca non c’era l’usanza di dare un nome, per cui si ricorda solo l’ideatore: l’aveva realizzata Papini. Si chiude con un brindisi in terrazza dalla quale si gode un panorama davvero stupendo: per l’occasione è stato anche realizzato un annullo filatelico speciale dedicato alla ricorrenza e due cartoline filateliche a tiratura limitata.