“Uno dei personaggi del vino più influenti al mondo”: parola di Wine Advocate, bimensile che si pubblica negli Usa e che è un’autentica bibbia dell’enologia. “Uno dei cinque imprenditori italiani capaci di influenzare maggiormente il mercato internazionale del vino”, sancisce senza mezzi termini l’inserto Economia del Corriere della sera appena un paio di mesi fa (11 gennaio, per la precisione). Ci sono Piero Antinori, Angelo Gaja, Sandro Boscaini e Matteo Lunelli. E il quinto? Riccardo Cotarella, il presidente di Assoenologi e titolare delle Cantine Falesco: umbro di origine (di Monterubiaglio in provincia di Terni), viterbese di adozione. Docente di Viticoltura ed enologia presso l’Università della Tuscia che gli ha anche conferito nel febbraio 2011 la laurea honoris causa in Agraria per “il suo contributo al progresso tecnico e scientifico nei settori della viticoltura e dell’enologia”. Oltre che membro della Commissione tecnica di degustazione presso la Camera di Commercio di Viterbo. Ma questi sono solo i titoli legati più strettamente alla Tuscia, perché il curriculum di questo personaggio occupa un paio di pagine: consulente enotecnico presso una numerosa serie di aziende in Italia e all’estero; tutti gli anni, dal 2001, seminari in diverse città del mondo (Atlanta, Parigi, Dubai, Tokio, Singapore) organizzati dalla Società Conexport; e poi l’assistenza ai ragazzi in terapia presso la Comunità di San Patrignano per prepararli all’attività di agronomi ed enologi e la partecipazione al progetto “Wine for Life” della Comunità di S. Egidio che ha lo scopo di reperire fondi per la stessa Comunità attraverso dei bollini applicati sulle bottiglie di vino da lui prodotte.
Vabbè, ma queste sono tutte cose note e allora qual è notizia? Beh, Riccardo Cotarella è anche e soprattutto il protagonista della rinascita di un’azienda vitivinicola ai confini tra Israele e Palestina, luogo simbolico – e purtroppo reale – di secolari conflitti.
“Nell’aprile 2007 – racconta Cotarella al sito www.cronachedigusto.it – una mia cara amica mi chiama da New York e mi dice: ‘Riccardo, sul confine tra Israele e Palestina nella Valle del Cremisan tra Bet Bethelhem e Beit-Jala a 10 chilometri da Gerusalemme, c’è un’azienda di proprietà dei Salesiani che produce vino dal 1885. Il religioso Gildo Lemon che si interessa della cantina, ormai molto anziano, si è ritirato. Ti prego, aiutali’. Poche settimane dopo ero sul posto con alcuni dei miei collaboratori e con l’amico Stefano Cimicchi, anche lui coinvolto nel progetto. Così inizia la mia avventura in Terra Santa, ma anche terra di guerra e di odio. Non bastasse tutto ciò, un muro invalicabile sta dividendo nel peggiore dei modi due popoli con tutte le conseguenze che ne deriveranno, ma qui preferisco parlare dell’azienda Cremisan o meglio di quello che trovai alla mia prima visita. Tre ettari di vigneto piuttosto malconci, una vecchia cantina con le mura ricoperte di muffa, macchine e attrezzature consumate dal tempo e ricoperte di ruggine, un cantiniere e due religiosi anziani che con mani tremanti provavano ad attaccare le etichette. Non nascondo che la prima impressione fu devastante al punto di ritenere impossibile ogni forma di collaborazione con la più minima possibilità di successo Poi lo sguardo rivoltomi dai Salesiani, fu più eloquente di qualunque parola e mi convinse a tuffarmi con il cuore in questa avventura”.
E’ l’inizio di uno splendido viaggio, all’insegna della generosità, dell’imprenditoria solidale e dell’economia. “Iniziammo subito una raccolta fondi – continua – presso le cantine con le quali collaboro che, con grandissima generosità, ci permisero di mettere insieme una ragguardevole somma. I fondi furono destinati alla ristrutturazione della vecchia cantina dotandola delle migliori tecnologie e di un invidiabile esperto. Furono impiantati sei ettari di vigneti in terreni splendidi ricchi di argille rossissime e tante, tante pietre. Su terrazze che offrono una bellissima sky line di Gerusalemme, grazie alla sperimentazione effettuata con l’Università di Hebron su un vigneto sperimentale da noi realizzato, abbiamo scelto tra i migliori vitigni autoctoni: Hamdàli-Jàndali, Dabouki e Baladi. Abbiamo poi chiamato due giovanissimi ragazzi: Fadi Batarseh e Laith Kokaly, il primo israeliano e l’altro palestinese, portati in Italia a studiare a San Michele all’Adige. Conseguito il titolo di enologo, dopo un anno di esperienza alla cantina Falesco, sono rientrati ed oggi sono i responsabili tecnici dell’azienda Cremisan”.
Il percorso, dopo qualche anno, si è concluso e oggi l’azienda produce centomila bottiglie di ottimo vino che “con l’aiuto di tanti amici, verranno distribuite in tutto il mondo. Ogni volta che lascio Cremisan, mi prende un attacco di nostalgia: una terra ricca come nessun’altra di cultura, di religioni, di storia ma anche di violente contrapposizioni sociali, di mura, di fili spinati, di coltelli e di mitra”. “Vivere queste esperienze, fonti di riflessioni e di rivisitazioni, che ti aiutano a dare il giusto valore alle cose vere della vita, che ti aiutano a provare sensazioni profonde – conclude Riccardo Cotarella – mi fanno sentire un vero e proprio privilegiato. Amo il mio lavoro, amo il vino anche perché mi regala questi momenti che lasciano il segno e mi dà la possibilità di dare, anche se piccolissimo, un aiuto a chi la vita ha riservato tanti problemi”.