A Grotte Santo Stefano torna ad avverarsi il sogno di ogni singolo individuo. Chi, infatti, non ha mai pensato di percorrere il proprio paese percuotendo i concittadini? E non solo, giunto al traguardo, di affacciarsi dalla loggia più importante della città a urlare ai quattro venti tutte le cacchiate che gli stessi concittadini hanno compiuto negli ultimi 365 giorni? Fantastico, verrebbe da dire. Peccato solo che, dopo la mezz’ora di gloria, la punizione di ripiego consiste nell’essere arsi vivi. Ecco, diciamo che forse su questo è il caso di lavorarci un poco sopra.
Scherzi a parte, giacché poi è di Carnevale che si sta parlando, a Grotte Santo Stefano torna il Bucèfere. Ed è un vero e proprio evento, poiché la “commedia” non veniva più rappresentata da tempo.
Il Bucèfere affonda le sue radici nei riti che accompagnavano le celebrazioni dei Lupercalia romani. È una sorta di figura mitologica, pertanto. Che col passare degli anni ha subìto diverse trasformazioni, dovute anche alle frequenti interruzioni delle sue uscite.
E così il 9 febbraio (martedì grasso) tornerà in pista. Come da prassi si affaccerà dal palazzo comunale per decantare il suo testamento e raccontare fatti e misfatti degli altri, prima di essere bruciato in piazza (tranquilli, in questa circostanza gli si preferisce un fantoccio).
Per chi non se lo volesse perdere, l’appuntamento è per le 20.30 con la sfilata per le vie. Alle 21 la lettura del testamento. Due giorni prima, invece, per far comprendere ai più piccoli l’importanza del personaggio (del rito e delle tradizioni) ecco l’iniziativa “Nel carnevale che vorrei Bucèfere chi sei?”. Concorso di disegno riservato alle scuole elementari, dove viene richiesto ai bambini di rappresentare cosa è il Bucèfere per ognuno di loro.
E ritorniamo ai cenni storici. Il Bucèfere è vestito completamente di nero. Incappucciato e scortato da 40 “Carnevalotti” (loro di bianco). Si fa vedere ogni martedì grasso, somministrando scudisciate a coloro che incontra nel suo percorso. Giunto in piazza, dopo la lettura del suo testamento (una sorta di cantilena dialettale) con la quale rende pubblici fatti e misfatti avvenuti in paese durante l’anno, viene dato alle fiamme.
È un bravi va girato all’omonima associazione, che si è presa in carico la faccenda abbandonata da troppo tempo.