A Villa San Giovanni in Tuscia, ormai da quattro anni, naviga a gonfie vele un progetto pilota studiato ad hoc per ottenere del compost di qualità. La faccenda non è poi così sperimentale, a vederla bene. Considerando che in tutta Europa di esperimenti simili ce ne stanno più di mille. Come sempre però l’Italia si distingue per rapidità di pensiero e forte propensione alle innovazione (eufemismo). Un plauso va quindi girato a quelle poche (rare) menti illuminate che, come in codesto caso, decidono di abbandonare il Medioevo in favore di una trovata al passo coi tempi.
E veniamo al dunque. “Grazie alla collaborazione della popolazione – apre così il sindaco, Mario Giulianelli – per quanto concerne la raccolta differenziata, utilizzando il porta a porta, siamo passati dal 7.5 al 63%”.
E solo per questo meriterebbero il monumento, i fuochi d’artificio e la banda sotto casa. Ma siamo appena all’inizio. “Portavamo a Viterbo, in discarica, circa 30 tonnellate di immondizia al mese – prosegue – spendendo sui 18mila euro l’anno. Qualcosa non tornava. Perciò abbiamo preso un’altra strada. Ora gliene scarichiamo 10, un terzo”.
La buona pratica ha una doppia biforcazione. Da un lato metà compaesani (300 famiglie) si sono messi nel giardino privato le consuete campane per il compost. Dall’altro il Comune, accollandosi un mutuo di appena 40mila euro, ha creato un centro di compostaggio di comunità.
E cioè? “Una macchina – ancora lui – che ammortizzeremo in quattro, cinque anni, dove viene conferito l’umido. Una sorta di acceleratore. Che consuma pochissimo, e che ogni 15 giorni sforna compost eccellente da regalare alla popolazione”.
Fantastico. Ma la gestione? “Basta una persona – aggiunge – o meglio, un part-time. Se entra 100 esce 10. Non ci sono acque reflue, quindi zero inquinamento. E quel poco di vapore acqueo che viene emesso, attraverso un bio-filtro, viene reintrodotto pulito nell’atmosfera”.
I vantaggi. “Innanzitutto 10mila euro ogni anno – chiude Giulianelli – poiché in discarica giunge un terzo del totale. Cifra che aumenterà considerevolmente una volta ammortizzato l’impianto. Non in ultimo, anzi, in primis, l’aspetto ambientale ed ecologico. Il risparmio di benzina, di emissioni, di lavoro”.
Il modello è replicabile anche su scala più ampia. Ed anche in una metropoli come Roma si potrebbe proporre, sezionando la città in zone. La struttura è garantita per almeno 30 anni, poiché di acciaio inox è semplicissima sul profilo tecnologico. E pure il costo di partenza, apparentemente proibitivo (fino ad un certo punto) è comunque minore rispetto alle pratiche quotidiane.
Perché quindi non obbligare ogni città ad aderire al progetto?