“Io i film di Zalone non li vedrò mai”. Affermazione piuttosto frequente in questi ultimi giorni che hanno sancito l’ennesimo trionfo al botteghino del comico pugliese. Vien da chiedersi chi va al cinema se poi i numeri registrati da “Quo vado” sono da boom: milioni di euro incassati e record su record stracciati. Commentatori d’ogni genere e qualifica si sono sbizzarriti in analisi sociologiche e non, per spiegare il “trionfo della mediocrità” (secondo loro). Ma cosa c’è da spiegare e commentare? Checco Zalone (al secolo Luca Medici, avvocato) è uno di noi, con i pregi e i difetti tipici dell’italiano medio (sempre loro, gli analisti di cui sopra). La differenziata è una perdita di tempo perché i rifiuti non solo è noioso separarli, ma è anche inutile tanto poi quando li raccolgono li buttano via tutti insieme. E quando pure si differenzia (spesso male, va detto), il sacchetto lo deposito quando mi pare: e mica posso stare ad aspettare il giorno stabilito… E il posto fisso? Il sogno di tutti, diciamoci la verità: pane sicuro per tutta la vita, magari anche facendo il minimo indispensabile. La “fissità del posto” è una scienza che fa fatica ad essere contraddetta.
Ma non sarebbe meglio una “cultura del lavoro” piuttosto che quella del “posto”? Certo che sì, ma alla prova dei fatti, tanti preferirebbero una qualunque occupazione, senza particolari soddisfazioni, ma con lo stipendio assicurato ad ogni fine del mese. Zalone amplifica i concetti, è ovvio, prende in giro tutti noi e soprattutto fa ridere. Tutto qui. Perché ci si meraviglia dei suoi successi? Perché si scandalizzano tanto? Sono sempre gli stessi che ululavano quando i “cinepanettoni” ugualmente macinavano incassi miliardari (in lire) o quando Lino Banfi spopolava con il suo improbabile allenatore nel pallone. E sono sempre quelli che non hanno mai apprezzato Totò da vivo. Oggi quei film sono autentici “cult” che anche i critici più illuminati (?) sono stati costretti a rivalutare.
Sullo stesso filone si inserisce lo straordinario successo (l’ennesimo) del Don Matteo televisivo: un prete che non celebra mai messa, che non confessa mai, che in chiesa non c’è mai e che passa il tempo a risolvere gialli e omicidi; un maresciallo dei carabinieri (Frassica) che è molto più di una macchietta e che fa molti più danni all’Arma delle infinite barzellette sui militari; una serie di personaggi di contorno improbabili e mal disegnati e peggio interpretati (in primis, la solita Belen che resta una gran bella figliola, ma che con la recitazione non ha nulla a che fare): insomma, tutti gli ingredienti per un flop. E invece la prima puntata della decima serie è stata vista da quasi 10 milioni di persone. Numeri che solo Sanremo e le partite della nazionale di calcio possono esibire. Un altro “trionfo della mediocrità”? Probabilmente sì. E allora? I sofisticati e gli snob con la perenne puzza sotto il naso possono cambiare canale o non andare al cinema, ma non possono ergersi a giudici saccenti e men che mai criticare chi si comporta diversamente. Questi sì che è insopportabile.
Buona domenica (magari con Zalone o con la replica di Terence Hill).