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Di Canio e quell’amicizia con Paolo Signorelli

Paolo Di Canio

Paolo Di Canio

Adesso dice di non essere fascista, di non essere razzista, di chiedere conferma – per sicurezza – a chi ha giocato con lui, a quello che lo conoscono bene. D’accordo, può anche capitare che Paolo Di Canio abbia cambiato idea, idea politica, visto che  “i migliori non hanno convinzioni mentre i peggiori difendono le proprie con ardore”. Peccato che l’autore di questa frase, il grande William Yeats, fosse irlandese, mentre lui, Paoletto, oggi ha a che fare con gli inglesi, noto popolo di scassapalle. Così, la settimana scorsa, quando il Sunderland ha scelto l’allenatore italiano per provare a conquistare una difficile salvezza in Premier league, è successo il finimondo. A partire dalle dimissioni del dirigente David Miliband (che è anche uno dei capi del partito laburista inglese, cioè la sinistra) e dai malumori dei tifosi. I quali saranno pure soprannominati gatti neri, ma dentro sono rossissimi: anzi, pare addirittura che Sunderland sia una piccola Livorno, terra di operai e sindacati.

Questo il riassunto di quel che è successo finora. Ma che c’azzecca Di Canio con Viterbo? C’azzecca, o meglio ci azzeccava, parecchio. Anno 2006, Paolo scaricato dalla Lazio accetta di chiudere la carriera alla Cisco, la ex Lodigiani, squadra di serie C2 gonfia di ambizioni e di quattrini, quelli della famiglia Tulli, costruttori in Roma. Quando la Cisco di Di Canio viene a giocare contro la Viterbese, sugli spalti del Rocchi si materializza una figura inedita, almeno per un campo di calcio: Paolo Signorelli, accompagnato dal fratello – ed ex senatore dell’Msi – Ferdinando, assistette a tutta la partita e alla fine se ne andò con l’altro Paolo, il più giovane. Signorelli, ex ideologo di Ordine Nuovo, coinvolto e scagionato in molte delle trame nere che avvolsero l’Italia dagli anni Sessanta in poi (strage di Bologna inclusa, per la quale subì dieci anni di carcerazione  ingiusta), evase con stile le domande dei giornalisti, ma si limitò ad accennare che con Di Canio era nato un bel rapporto di amicizia. Si venne poi a sapere che l’ideologo e il calciatore trascorrevano molte giornate insieme, nella villa di Signorelli sul lago di Bolsena, a discorrere di politica, di filosofia, di questioni sociali: insomma, come se si trattasse di lezioni di ideologia, laddove uno era il maestro e l’altro il giovane, e curioso, allievo.

Stop. Ancora Viterbo, l’estate dopo. Stavolta la Cisco di Di Canio è invitata per un’amichevole di inizio stagione. Dopo la partita si va tutti a cena, Viterbesi e romani insieme in un ristorante del centro. Paoletto arriva da solo, con la sua Mini griffata Irriducibili (gruppo di tifosi della Lazio in cui militò da giovane). A piazza della Rocca, un gruppo di sostenitori gialloblu lo apostrofa a metà tra lo sfottò e l’insulto (“I veri fascisti siamo noi” “Tu non sei più un camerata”). Di Canio scende dall’auto e affronta il gruppetto, ma alla fine sarà lui ad avere la peggio. Intervengono le volanti della polizia, tutto si conclude con l’identificazione dei presenti ma senza denunce. Quando Paolo raggiungerà il ristorante cenerà con la squadra e con l’amico Signorelli, che liquiderà gli aggressori del suo allievo con un emblematico “fascisteria scadente”.

Il sottofinale di questa storia arriva il 6 dicembre, quando ospite alla trasmissione di Italia uno Guida al Campionato Di Canio ricorderà Paolo Signorelli, scomparso pochi giorni prima, nel nome di un’antica amicizia e forse di una comune ideologia.

Il finale, invece,è datato 2005, e si svolge nell’incantevole cornice del centro storico di Bassano in Teverina, un antico balcone che domina la valle del Tevere. Si sta girando un cortometraggio, protagonisti i bambini bassanesi. L’ospite d’onore è proprio lui, Di Canio, a quei tempi giocatore ancora della Lazio. Arriva a bordo della sua Ferrari dalla vicina Stroncone (dove vive) e si presta ad un cammeo nel film breve “La partita”. Gentilissimo con regista, autori e troupe, ma soprattutto con i bambini, insieme ai quali mangia anche un panino al volo. Di fascismo neanche l’odore, soltanto simpatia e disponibilità: è questo il Di Canio che la Tuscia ricorda con più affetto.

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358   Commenti

  1. Giorgio Molino ha detto:

    Di Canio, camerata pentito, si legherà quest’articolo al dito?

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