Finché si scherza, si scherza. Finché si cazzeggia, si cazzeggia (e qui, modestamente, sull’arte del cazzeggio possiamo dare lezioni qualificate, voto 7). Ma questa storia delle rette dei pazienti delle Rsa, le residenze sanitarie assistenziali, va risolta il prima possibile. Per una serie di ragioni, concatenate tra loro.
Premessa necessaria: bisognerebbe capire perché la Regione Lazio ha ridotto così sensibilmente i contributi ai Comuni da girare poi ai pazienti e alle loro famiglie per il pagamento delle rette. Quando si tratta di spendere, alla Pisana non badano – appunto – a spese, e lo fanno sapere a destra e manca: “Stanziati tot milioni per questo”, “Pronti tot milioni per quest’altro”, “Nuove risorse per la sagra della pannocchia”, annunci così li abbiamo letti un giorno sì e l’altro pure. Tanto da pensare che il Paese di Bengodi (voto 4) si fosse trasferito in quel pezzo di Roma che va tra La Pisana (sede del consiglio regionale) e viale Cristoforo Colombo (sede della presidenza). Quando invece si tratta di risparmiare – o peggio di tagliare, che poi è diverso – tutti zitti. Muti. Nessuno fornisce spiegazioni: vale per il presidente Zingaretti (che è stato vago, etereo, anche venerdì durante la visita a Belcolle, nonostante sia stato incalzato anche dal sindaco Michelini) e vale a maggior ragione per quei consiglieri regionali (voto 4 diviso due) che nella Tuscia hanno preso i voti necessari per ascendere al soglio non pontificio, ma almeno montalbaniano.
Ciò detto, è conseguenziale che il Comune di Viterbo, lasciato solo, può far poco o nulla per coprire quei costi che in passato erano sostenuti – per la maggior parte – dalla Regione. E però non avrebbe dovuto licenziare la famigerata delibera del 29 aprile, la pietra dello scandalo che ha messo in gravissime difficoltà gli ospiti e le loro famiglie e che ha suscitato ricorsi. E’ un caso unico o quasi, quello viterbese, perché con quell’atto ufficiale si sono andati a toccare non solo i conti correnti dei soggetti in cura e dei loro parenti, ma anche i beni immobili di loro proprietà. Basta avere una casetta intestata, magari comprata dopo tanti anni di sacrifici, per essere considerato in grado di far fronte alla retta della clinica, e dunque non interessato dai contributi pubblici. Sbagliato, profondamente sbagliato: voto 0.
Al di là delle giustificazioni burocratiche, delle famose “esigenze di bilancio” (che di fòsse, in passato, ne hanno già riempite parecchie, voto 2), di tutte le scuse immaginabili, questa resta una questione di principio. Le persone in difficoltà non possono essere lasciate sole. Ancora di più quegli anziani che hanno lavorato una vita, e che ora hanno bisogno di essere assistiti in un luogo attrezzato, e con personale qualificato. E le loro famiglie, che di conseguenza già si trovano in situazioni disagiate dal fatto di avere un parente ricoverato e che spesso farebbero i salti mortali già per arrivare normalmente a fine mese.
Un’amministrazione è pubblica perché serve tutti i cittadini, e a tutti i cittadini. L’assistenza e il sostegno, tutto ciò che attiene alla sanità, alla scuola, al sociale, è uno dei pochi capisaldi della società moderna, quella nata dopo la Rivoluzione francese (voto 7.5) e poi evolutasi in decenni di progressi e lotte, di diritti conquistati, di battaglie di civiltà. Almeno in Occidente. E il concetto dovrebbe valere ancora di più in una comunità piccola, dalle basi solide basi tradizionali, come quella di Viterbo città: 60mila abitanti, ci si conosce tutti, non c’è l’alienazione della metropoli, ci dovrebbe essere senso di appartenenza, aiuto e solidarietà reciproche, eccetera.
Questo il quadro. Al Comune, che pure sta cercando più o meno disperatamente una soluzione, un consiglio e un monito, entrambi modestissimi, entrambi sottovoce. Il consiglio: ritirare quella delibera, come punto di partenza, come segnale. Il monito: se dimentichiamo i nostri padri, i nostri nonni, i nostri zii un po’ rincoglioniti, non possiamo guardare al futuro. Né guardarci allo specchio. Ma questo è un altro discorso, voto 6.