Così finisce un sogno. Con l’amaro in bocca, un senso di frustrazione che non ti dico, e la consapevolezza di essere stati schiacciati da un meccanismo terribile e più grande. Un’altra volta, l’ennesima nella sua storia, la Viterbese ha pagato sulla sua povera pelle di squadra di provincia, le conseguenze di un sistema calcio camaleontico, inspiegabile. Sopratutto spietato.
Era già successo negli passati: il primo fallimento, le battaglie legali tenacemente combattute – ma vinte – dall’allora sindaco Gabbianelli e da Carlo Maria Cardoni, i mancati ripescaggi promessi dalla presidenza Fiaschetti. Era già successo, sì, e succederà ancora. Con l’aggravante, stavolta, che la notizia cattiva è arrivata mentre tutta la città, e tutti i tifosi, avevano la testa altrove, al Trasporto della Macchina di Santa Rosa che sarebbe iniziato di lì a poco. E invece, crudeltà nella crudeltà, sadismo involontario ma tremendo, poco prima della mossa da San Sisto, la messa da requiem alle speranze gialloblu dal collegio di giustizia del Coni: respinto il ricorso del Seregno, la Lega Pro non s’allarga ma resta a 54 squadre, e una frase che suona come una beffa, “soltanto le squadre con i requisiti sono iscrivibili e il numero delle stesse non raggiunge le sessanta unità; di conseguenza l’attuale numero di 54 squadre rappresenta e dà atto della situazione effettiva di coloro, e non altri, che avevano titolo ad essere iscritti alla Lega Pro”. Tie’. Lo scorso anno, per la cronaca, in una situazione praticamente identica, il Coni giudicò in maniera opposta: il principio, il diritto (cioè, le norme dicono che gli organici non si possono stravolgere) prevalsero sulla contingenza. Quest’anno, ribaltone, conversione di 180 gradi.
A nulla sono serviti gli interventi della società di via della Palazzina. Le corse per sistemare lo stadio, nei suoi punti più urgenti; la disponibilità a versare i 500mila euro di tassa a fondo perduto, la reputazione al di sopra di ogni sospetto che Camilli può vantare negli ambienti importanti del calcio italiano, la sua serietà e la disponibilità finanziaria. Il ricorso della Viterbese – che si era accodata al Seregno – non è stato neanche discusso, dettaglio che ha fatto giustamente imbestialire il Comandante.
Così già domani (ore 15, arbitra Amadio di Ascoli) si va sul campo dell’Ostiamare rassegnati ad un altro anno in serie D. E con una certezza in più: l’unico modo per tornare tra i professionisti sarà vincere il campionato e sconfiggere i poteri forti del Palazzo. Un nemico in più.