Benvenuti a Viterbo. Città di Santa Rosa e degli hamburger. Almeno per i prossimi cinque, sei mesi. Poi… Si vedrà. Inutile negarlo, il capoluogo ha le sue contorte dinamiche sociali. Tipiche, volendo, di qualsiasi borgo provinciale. Allo stesso modo però incredibilmente uniche. Soprattutto se si considera l’aspetto copia-e-incolla degli abitanti che lo popolano.
Ora, ad analisi sociologica sviscerata, torniamo a parlare di hamburger. Quanti posti ci stanno tra fuori e dentro le mura che li propongono? E quanti di questi hanno aperto negli ultimi tempi (giorni)? E quanti apriranno di qui a poche settimane?
Senza sfogliare le pagine gialle, ma semplicemente andando ad occhio, se ne contano una decina (il numero quindi è più alto). Ci stanno quelli che lo fanno fico. Gli spartani. Gli alternativi. I sensibili ai vegani (altra pratica, e a tempo, molto di moda all’ombra della Palanzana). I fanatici. Quelli che rivendicano di essere stati i primi. E via dicendo. Fino alla nausea (per rimanere in tema).
Anche perché si sta parlando di un pezzo di ciccia non pregiato. Infilato dentro due fette di pane (e per giunta plasticose), contornato da ovvie patate. Tutto qua. Non certo un controfiletto, insomma. E non possono essere il bacon semiaffumicato australiano o la salsa di prugne proveniente dal New Mexico ad impreziosire una pietanza che, la storia (ad alto contenuto di colesterolo) a stelle e strisce insegna, altro non è che cibo da strada. Anche se oggi si sono inventati gli hamburger gourmet, un controsenso già nel nome.
E allora perché tutti lo cucinano e tutti lo vogliono, il panino? Perché fa tendenza, semplice. Come gli orribili pantaloni arrotolati alla caviglia (che ti si è allagata casa?) o le barbe da rabbino (che Marx, Verdi, Garibaldi, Freud, Leonardo e perfino Gesù, si stanno rivoltando tra bare e sepolcri).
La seconda domanda, che vien su parallelamente al secondo rigurgito, è poi la seguente: quanto durerà questa “cosa”? Poco. Come il sushi, come le apericene, come il karaoke, come il sudoku, come i buoni propositi dopo che è passata la Macchina di Santa Rosa (sì, quella dell’apertura).
Il tempo di una digestione (anche cattiva, volendo), di un paio di serrande abbassate, di un vuoto cosmico all’interno dell’ultima panineria, è già si parlerà d’altro. Chissà, magari la prossima volta toccherà ai tapas-bar.
Beata provincia. E beata programmazione andata a farsi benedire. Che facciamo domani? Seguiamo il tipo che sta davanti. Magari lui sa la strada. Vedrai che da qualche parte arriveremo.