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Da Carolina a Martinetti: quei ritiri di una volta

I raduni gialloblu, tra illusioni, incertezze e la voglia di calcio

Carolina Morace, con Betty Bavagnoli e Maurizio Pellegrino durante l'estate del 1999 nel ritiro di Abbadia San Salvatore

Carolina Morace, con Betty Bavagnoli e Maurizio Pellegrino durante l’estate del 1999 nel ritiro di Abbadia San Salvatore

Luglio del calcio, luglio di montagne russe. Da sempre ovunque, tra piste di mercato, proclami spavaldi, sogni e calcoli. Qui a Viterbo peggio mi sento, perché questo mese è sempre stato ambiguo, specie per chi segue la Viterbese.

Luglio come scampato pericolo, dopo le paure classiche del giugno (campionato finito, soldi pure, rischio iscrizione, rischio sopravvivenza), e allora il giorno del raduno della squadra per iniziare la preparazione era vissuto come sollievo, la luce in fondo al tunnel, il montenegro dopo il caffè. Era un momento digestivo, ecco, in cui si smaltiva la fifa (nel senso di spavento, non di Blatter, anche se sono due cose molto simili) e si ricominciava a vivere. E poco importava se era soltanto una pausa tra una crisi e l’altra, un passaggio da carestia a carestia anche peggiore: bastava andare allo stadio, quel giorno, e rivedere le vecchie facce che si mescolavano alle nuove, i giocatori abbronzati e un po’ spaesati, le presentazioni reciproche, e tutto andava bene. Per dire: in anni in cui i dirigenti erano talmente furbetti (o paurosi?) da non farsi vedere al Rocchi neanche il primo giorno, bastava anche la faccia di un magazziniere, o del vecchio Caianello, per rassicurare il tifoso in cerca di certezze.

La preparazione di tre anni fa, proprio a Canepina

La preparazione di tre anni fa, proprio a Canepina

Anni talmente incerti che non c’erano neanche i palloni, o ci si allenava con maglie rimediate qua e là, tutto era al risparmio – persino l’acqua da bere tra una corsa e una ripetuta -, tutto era maledettamente precario. Poveri, e neanche belli, come nel 2004, l’anno del fallimento. In una settimana si era passati dall’illusione della B (playoff perso a Crotone) alla mancata iscrizione in serie C1. Fu un’estate allucinante, con due raduni e due preparazioni: prima, proprio a fine giugno, un manipolo di coraggiosi (tra cui il capitano di allora, Omar Martinetti) iniziarono a correre a San Martino al Cimino, un miniritiro eroico, allestito in quattro e quattr’otto dall’allora team manager Ciambella, uno che non voleva arrendersi all’evidenza. La Viterbese fallì, il ritiro cimino si sciolse, e allora ecco la nascita del Viterbo calcio, attaccato disperatamente alla ciambella di salvataggio del lodo Petrucci per ripartire dalla C2. Ci fu un altro ritiro, un’altra preparazione, e alla fine si ripartì. Straccioni, sì, ma almeno onesti.

Il ritiro di due anni fa a Valentano: Luciano Camilli, l'ex direttore sportivo Angelucci e il team manager Mauro Raspoli

Il ritiro di due anni fa a Valentano: Luciano Camilli, l’ex direttore sportivo Angelucci e il team manager Mauro Raspoli

Ma non vanno dimenticati anche i lugli radiosi, pochi e indimenticabili. L’anno della promozione in C1, per esempio, quando Luciano Gaucci dava il meglio di sé. Giorni inebrianti, in cui tutto sembrava possibile, persino vedere a breve una Viterbese in serie B. La presentazione di Carolina Morace al palazzo Doria Pamphili (sempre a San Martino: la geografia dell’estate viterbese è piena di luoghi che ritornano, Canepina, Valentano, Soriano, San Martino…) fu soltanto un assaggio. Tifosi adoranti, reggipanza (è il caso di dirlo) del presidente, televisioni tedesche, inviati dei grandi giornali nazionali e internazionali. Venghino venghino, qui c’è la prima donna allenatrice, allenatrice e donna, nella storia del pallone. E poi gli allenamenti, i dubbi morbosi (“Ma entrerà nello spogliatoio coi maschietti?”), le amichevoli scintillanti, mucchi di giocatori in transito da e per mezza Italia.

Nessun rimpianto, per quei giorni rutilanti. Perché l’anno successivo, quando Gaucci se ne andò verso altri lidi, la Viterbese dovette ripartire da zero, o quasi. E il raduno fu molto diverso: iniziava l’era di Gerry Aprea (ai tempi soltanto uno sconosciuto imprenditore monzese). Meno soldi, meno lustrini, pochi tifosi alla presentazione. Arrivò il nuovo presidente, i due nuovi allenatori (Giuliano Dall’Orto e Angelo Gregucci) e una squadra di vecchi arnesi o giovani promettenti.

Esaltazioni e depressioni, salite e discese e una sola certezza, oggi come allora: inizia una nuova stagione, il pallone torna a rotolare, e già va bene così.

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