La gaffe del Corriere della Sera, che ha definito “trash” la Macchina di Santa Rosa ad Expo, ha toccato nel vivo tutti i viterbesi. Qualcuno è andato su tutte le furie, meditando azioni clamorose (ad esempio rubare la Madunina sul Duomo e cercare di rivenderla a pezzi in un Compro oro). Altri, come il sindaco Michelini, hanno optato per una risposta civile, scrivendo una lettera allo stesso quotidiano di via Solferino: peccato però che la missiva di replica sia stata inviata per errore alla posta dell’ambasciatore Sergio Romano e dunque molto probabilmente riceverà una risposta sulla guerra franco-algerina e le sue ripercussioni sul colonialismo del secondo Novecento. Altri ancora, infine, hanno dato la colpa agli stessi viterbesi: “Siamo stati i soliti sempliciotti. Invece della Macchina avremmo dovuto mandare ad Expo il totem pubblicitario che sta al centro della rotonda dell’Ipercoop. Altro che Albero della vita…”
Anche per mettere fine a questo squallido teatrino, Viterbopost è in grado di compilare una lista delle cose che avremmo potuto inviare ad Expo senza rischiare di essere fraintesi e con la certezza di riscuotere un successo planetario. Perché soltanto con la roba da magna’ (e da bere) si può ascendere al regno dei cieli.
Il panino di Fofò. Trattasi di meraviglioso sandwich di prodotti naturali che viene realizzato e assemblato in un noto locale del centro (che qui non citeremo per non fare troppa pubblicità: il Magna Magna). Salumi, formaggi, verdure, olio. Non sconfiggerà la fame nel mondo, ma quella del venerdì sera sì.
Il 103 da Schenardi. Adesso che ha riaperto lo storico caffè, le statistiche di omicidi, violenze domestiche, errori grammaticali si sono sensibilmente ridotte. Merito di quel nettare degli dei che preparano da queste parti. Martini dry, campari a Biancosarti, con una goccia d’angostura. Agitare e servire nella coppa del Martini, anche se c’è chi lo berrebbe anche da una borraccia, o nel teschio di suo padre (cit.). Un sorso, e la vita sembrerà meravigliosa, la Macchina ad Expo pure. Burp.
La pizza su due piatti. Anche in questo caso, nessuna pubblicità: la fanno al Monastero. Da secoli. Meta di pellegrinaggi anche da paesi lontani (tipo Zepponami). Rito del fine settimana da officiare secondo le Sacre scritture: metà pizza di un tipo, metà di un altro. Solo così possono venir fuori ibridi terrificanti che neanche nei laboratori di ricerca di una multinazionale: metà salsiccia e funghi e metà frutti di mare, metà margherita e metà con patatine e ketchup, cose così. Avvertenza: per assicurarsi un posto c’è da superare una fila più lunga di quella di Expo, ma qui non ci sono né tornelli né bagarini.
La pizza di Biscetti con la porchetta. S’intende pizza bianca, quella che nel regno di Salvini i barbari chiamano “focaccia”. Si prende ancora calda, si spacca col coltello facendo attenzione a non provocare danni irreparabili e poi si farcisce con la porchetta (c’è anche una versione light, con la mortadella). Dopodiché si può anche riscaldare, per far sciogliere un po’ quel grasso suino che fa così bene alle nostre arterie. La colazione dei campioni. Ma anche il pranzo, la merenda, la cena e il dopocena. Incubi non compresi nel prezzo, ma saranno comunque migliori della “realtà aumentata” che si può sperimentare al padiglione del Lazio ad Expo.
Il gelato. Di Chiodo o di Ugo, fa poca differenza. Una delizia artigianale che nel corso degli anni ha ha fatto strage di prove costume. E ci piace pensare che l’inaugurazione di Expo, il 1 maggio scorso, sia stato un omaggio diretto alla stagione dei gelati, che ricominciava proprio in quei giorni. Questa eccellenza viterbesi avrebbero meritato uno spazio nel cluster del cacao, di qualsiasi cosa si tratti. Meravigliao.