Qui l’attesa non è un problema. Anzi, questo salone bello dell’incubatore culturale, l’Icult di Valle Faul, sembra proprio un’immensa sala d’aspetto. Dove una volta macellavano gli animali – era il mattatoio – oggi maciullano i pollici sullo schermo. Tutti a tormentare i rispettivi smartphone, a twittare (in serata l’hashtag #medioera15 sarà tra i trendtopic italiani), a postare, mentre il tempo passa, e all’appuntamento precedente si sostituisce quello successivo. Medioera è così: dilata i tempi, e il tempo, tutto sommato, è l’ultimo dei problemi per questa gente arrivata da mezza Italia, che parla in modo strano e che quasi neanche esce per fumare una sigaretta. Così ieri pomeriggio, nel giorno d’esordio della sesta edizione, anche il ritardo di Giorgia Meloni (lieve) e quello mostruoso di Giuseppe Civati detto Pippo e del giornalista Marco Damilano (l’Espresso, Gazebo) sono passati quasi inosservati, tra un clic e l’altro.
L’appuntamento era per le 18.20, parcheggio già strapieno, ma dentro l’Icult c’è ancora Alessio Iacona che parla delle sue cose. La Meloni arriva dopo le sette, lei che pure dovrebbe conoscere bene la strada per Viterbo, visto che qui viene spesso per una ragione politica o per un’altra mondana (Santa Rosa, San Pellegrino in Fiore, eccetera). Arriva, e insieme alla professoressa Chiara Moroni si mette a parlare della comunicazione politica nell’era digitale. D’altronde, il tema era proprio questo: “C’era una volta”, come i personaggi delle istituzioni e dei partiti comunicano oggi attraverso le nuove tecnologie. Argomento caldo, visto che appena poche ore prima un alleato di Giorgina – Matteo Salvini – era stato criticato, e bannato da Facebook, per aver detto qualcosa di poco carino sugli zingari. La Meloni, in proposito, la vede così: “Gli strumenti, i media, per me sono neutri. E’ l’uso che se ne fa che cambia le cose, le carte in tavola”. Come dire: se condividi soltanto foto di gattini – o magari acutissimi ragionamenti sullo stato sociale – non c’è niente di male.
La platea ascolta. C’è tanta destra, qua dentro, la destra protagonista viterbese: da Mauro Rotelli gran anfitrione, all’assessore provinciale Talucci Peruzzi, al consigliere comunale Grancini, ad un Paolo Bianchini in camice da chef (il catering è suo). Ma ci sono anche spruzzi di rosso: quelli che aspettano Civati (il consigliere comunale Scorsi, la moglie di Peppe Parroncini Danila Corbucci) e sorprendentemente anche qualche renziano, a partire dal consigliere provinciale Alessandro Angelelli, che però lavorando nella comunicazione forse è qui per aggiornamento professionale. Il tempo passa, la Meloni parla (“Non ho risposte sull’uso politico dei nuovi media, ma solo domande. Anche perché faccio politica da quando avevo quindici anni, e allora si faceva andando ad attaccare i manifesti, le riunioni in sezione…” Puro stile Fronte della Gioventù), e gli ultimi due ospiti non arrivano. Il collega Canettieri, da Il Messaggero quello vero, quello di Roma, la butta là: “Civati è in ritardo perché vuole fare le primarie per scegliere se prendere la Cassia o la Cimina”. Risatine. Invece eccoli qui: Civati che proprio per le primarie coniò lo slogan “Civoti”, e che ora dialoga allegro ogni sera su Striscia con Peppa Pig, e Damilano, autorevole e coraggiosissimo. Perché, senza patente, per raggiungere Viterbo aveva optato per il treno. Scelta sbagliata: è rimasto bloccato da qualche parte nella campagna romana. E Civati, da buon altruista de sinistra, ha invertito la marcia ed è andato a recuperarlo. Ecco le ragioni del ritardo.
Con Civati che approfitta della situazione per lanciare qualche sasso contro Renzi: “Uno dei problemi dei social network è la rappresentanza, come per l’Italicum. Come appare, o vuole apparire il politico sulla rete non coincide necessariamente con quello che è. Anche perché un post, uno status, racconta solo un pezzo della storia. Il politico serio dovrebbe spiegare l’intero disegno, il ragionamento. E d’altra parte anche l’elettore dovrebbe informarsi in modo completo. Io? Coi social cerco di regolarmi, ma certi miei collaboratori sono dipendenti. Per parlare con loro ormai sono costretto a twittare…” Mentre la Meloni è convinta: “La tecnologia non sostituirà mai il contatto umano, i comizi, gli incontri”.
Scenari più o meno rassicuranti, mentre in sala tutti smanettano, neanche troppo stupiti di vedere destra e sinistra, sul palco, che si danno la mano. E che schiacciano, idealmente o no, il pulsante del like. Miracoli della tecnologia.
(E no, il titolo che tutti i cronisti aspettavano, quello al veleno da spedire al premier, non arriva. Per la cronaca, sarebbe stato: “Non si può governare l’Italia con un tweet”. Peccato).