C’è la crisi dell’edilizia? L’industria del mattone non produce più utili e la forza lavoro si assottiglia sempre di più? I costruttori piangono miseria? Tutto vero. Ma è pur vero che in tempi di vacche magre bisogna far funzionare il cervello e saper cogliere al volo le occasioni che si presentano. Dopo essersi adeguatamente informati.
E se oggi la cementificazione edilizia ha subito un brutto stop (e questo, almeno per la salvaguardia dell’ambiente, non è un dato del tutto negativo), vero è che esistono validissime alternative da sfruttare, in grado di produrre utili e creare lavoro. A patto che ci si aggiorni, che si sfruttino le possibilità del momento e che, attraverso un’adeguata campagna di marketing, si renda edotto il cittadino delle possibilità che il mercato offre, facilitate tra l’altro dagli incentivi messi a disposizione dallo Stato.
Questa breve premessa era necessaria per illustrare, attraverso l’esperienza di uno che queste possibilità le ha sfruttate tutte, i vantaggi della riqualificazione energetica della propria abitazione sulla base delle nuove tecnologie che il progresso mette continuamente a disposizione. Ecco il suo racconto:
Cappotto termico, fotovoltaico, pannelli solari per l’acqua calda sanitaria e pompa di calore per il riscaldamento: così si è realizzata l’estate scorsa la rivoluzione energetica (e ambientale) nella mia abitazione, una villa unifamiliare di circa 240 metri quadrati situata a pochi chilometri da Viterbo.
Un investimento certo non trascurabile (che sarà però in gran parte recuperato nei prossimi dieci anni grazie alle agevolazioni fiscali: 50% di rimborso per il fotovoltaico, 65% per tutto il resto), ma che ha migliorato notevolmente il comfort della mia abitazione, ne ha aumentato considerevolmente il valore economico e ha prodotto anche un certo risparmio nella gestione dei consumi.
Ma partiamo dall’inizio. La mia casa era classificata nella categoria climatica D. Realizzata tra il 2000 e il 2001 in poroton, era riscaldata grazie a una caldaia alimentata a Gpl (abito in campagna e la rete del metano non è presente) e a un termocamino. Entrambi servivano anche per la produzione di acqua calda sanitaria. Oggi, dopo la rivoluzione, è passata alla classe A.
Rilevato che il Gpl è piuttosto costoso (e non molto efficiente) e che la legna è invece il combustibile più economico attualmente esistente sul mercato (ma molto scomodo da gestire), il sistema nel suo complesso presentava diversi inconvenienti, primo fra tutti il dover ordinare ogni anno solare tra gli 80 e i 100 quintali di legna e accatastarli nella legnaia appositamente realizzata. Ma non è tutto. C’era anche – ogni giorno – da pulire e preparare il termocamino, nonché alimentarlo periodicamente durante il suo funzionamento. Con un ulteriore handicap: per farlo funzionare bisognava essere presenti in casa, altrimenti bisognava affidarsi al gas o trovare, al proprio ritorno, la casa fredda. Il costo di gestione per l’interno anno si aggirava sui 2.000 euro.
Di qui la decisione di apportare una vera e propria rivoluzione. Ho cominciato con un impianto fotovoltaico da 6 chilowatt per la produzione di energia elettrica (23 pannelli in silicio istallati sui versanti est e sud del tetto), dopodiché ho fatto realizzare da una ditta specializzata un rivestimento termico esterno (il cosiddetto cappotto) composto da pannelli di polistirolo di 8 centimetri di spessore. Fatto ciò, ho pensato al resto. Ho acquistato una pompa di calore di 14 chilowatt in grado di alimentare un boyler da 500 litri istallato all’interno della mia abitazione (fortunatamente i tubi di collegamento sono riuscito a farli passare attraverso l’intercapedine, evitando così lavori murari in casa). Questo mega contenitore ha la facoltà di scaldare i tradizionali termosifoni in alluminio (portando la temperatura dell’acqua tra i 50° e i 55°) e fornire l’acqua sanitaria, aiutato dall’impianto dei pannelli solari e – in caso di accensione – anche dal termocamino, che non è stato smantellato e collegato al boyler. Di più: la caldaia a gas non è stata eliminata ma solo spenta, in quanto potrebbe rivelarsi comunque utile in caso di emergenza.
Detto ciò, con una accensione media della pompa di calore di otto ore al giorno, nel mese di febbraio 2015 sono stati consumati poco meno di 40 kw/h al giorno, corrispondenti all’incirca a 9 euro, cui però andrà detratto quanto prodotto dal fotovoltaico nelle ore di luce. C’è di più: l’Autorità per l’energia nel 2014 ha stilato una delibera che ha istituito – proprio per i possessori di pompe di calore – la tariffa D1, ovverosia una tariffa elettrica costante (quindi in bolletta non si trova il sovrapprezzo derivante dalla quantità dei consumi) pensata proprio per chi utilizza questo nuovo strumento. Fatti due conti, i costi per il riscaldamento dell’abitazione calcolati su sei mesi (da novembre ad aprile) si aggirano tra i 1.600 e i 1.700 euro, cui va sempre detratto quanto prodotto dal fotovoltaico. Quindi l’impianto si è rivelato concorrenziale rispetto al mix gas liquido-legna e, a mio avviso, lo è anche rispetto al pellet, combustibile che oggi va per la maggiore.
Come si può vedere infatti, un bel risparmio, un maggiore comfort e – soprattutto – un piccolo aiuto all’ambiente con l’assenza totale di emissioni di Co2.