C’è questa foto, che un amico di Viterbopost che si trovava a passare “per caso” da Milano, ha inviato ieri sera. C’è Piero Camilli, seduto ad un tavolino del bar dell’hotel Ata Quark di Milano, a parlare con due persone, due operatori di quel calciomercato che proprio ieri – di lì a poco – avrebbe chiuso i battenti. Camilli è composto, lo sguardo serio, non tradisce emozioni come non lascia pensare che qualcuno lo possa fregare. Caffè e acqua tonica sul tavolo, ascolta e tratta forse con un procuratore, forse con un collega presidente, forse con qualche direttore sportivo.
C’è questa foto e tutti qui sappiamo che la trasferta meneghina del Comandante (è arrivato sotto la Madonnina domenica sera) abbia a che fare col Grosseto, quel Grosseto che naviga in Lega pro, e che magari con un paio di rinforzi potrebbe anche pensare ad una seconda parte di stagione entusiasmante, magari con un appendice per i playoff. D’altronde, lo stesso Camilli ha ammesso di prendere in considerazione delle operazioni di mercato per rinforzare la rosa a disposizione di mister Stringara, grossetano d’Orbetello nonché ex allenatore della Viterbese.
Già, la Viterbese. Perché questa foto può pure essere vista come un’anticipazione del futuro. Tra un anno, o nella peggiore delle ipotesi tra due. Piero Camilli che prende ancora la via di Milano, a bordo della sua Audi presidenziale, sempre per fare shopping di calciatori professionisti, ma stavolta non più per il Grosseto, ma per la sua Viterbese, tornata di slancio tra i Pro’ dopo tanti, troppi, anni nella melma della serie D. E allora sì che i tifosi potranno tornare a sognare: andare lassù, nel sancta sanctorum del pallone, alla Borsa del calcio, tra gli squali e le occasioni, padrone del vapore (Camilli) in mezzo ai suoi simili, gli altri presidenti di tutta Italia, dalla serie A alla ex serie C, da un Lotito col suo latinorum a Walter Sabatini con le sue sigarette, e Lillo Foti da Reggio Calabria – che ieri raccontava aneddoti appoggiato ad un muro – a Ferrero e le sue scimmie, e ancora Marotta, e De Laurentis.
Andarci per comprare bene e vendere meglio, nell’ottica di ulteriori obiettivi da centrare per una Viterbese in ascesa perenne. Mica come in passato, quando i dirigenti gialloblu salivano al mercato dalle vacche senza una lira in tasca e con una faccia tosta che consentiva loro di chiedere la carità ai dirigenti più importanti. “Sai, Luciano, se ti avanza un terzino sinistro all’ultimo minuto…”, “Adriano, quel Sammarco mi farebbe tanto comodo in mezzo al campo, me lo puoi prestare? Grazie, e complimenti per la cravatta”. E la Gea, e le infornate di Gaucci, e tanti altri piccoli soprusi quotidiani. Dormire all’alberghetto dietro la stazione Centrale, spendere qualche soldino per la escort rumena e per un aperitivo a Corso Como, e poi riprendere il treno – seconda classe – per tornare giùa raccontare chissà quali colpi. Pezzenti in un mondo di volpi, ecco cos’era il calcio nostrano a quei tempi. Una mediocrità che si ripercuoteva sulla qualità della squadra, spesso accozzaglia di nomi e di padrini, più che armonia tecnica costruita volontariamente.
Oggi c’è Camilli, per fortuna, domani potrebbe esserci ancora di più, perché se si sale tra i professionisti todo cambia, anche gli impegni e gli sforzi della società, che già così si sta dannando. E però bisogna meritarselo, un avvenire così promettente, così appetitoso, perché nel calcio i mecenati sono finiti e anche l’esperienza vincente (alla Camilli, appunto) scarseggia sempre più. Perciò sarebbe il caso di: abolire le gufate, riempire lo stadio ogni domenica comandata, e soprattutto spiegare al Comune quanto conti avere questa proprietà, oggi. Che la Viterbese non disponga ancora, per esempio, di un campo in sintetico per allenarsi durante la settimana, specie durante settimane di bubbola come queste, è un piccolo grande scandalo. Mica degno di una città come Viterbo, mica degno della fame dei tifosi, mica degno dei progetti della famiglia Camilli.