Ciao mamma, vado a Barcellona a fare l’Erasmus. Risultato dopo sei mesi, al ritorno: pochi esami dati, quattro parole (masticate pure male) di spagnolo. Ma tanta sangria e tanto, tanto, altro. La possibilità di andare a studiar fuori, vuoi o non vuoi, ha sempre rappresentato per gli studenti universitari una ghiottissima occasione sociale, ancor prima che didattica. Un tempo poi era quasi un’avventura (pratiche da fricchettoni). Oggigiorno invece pare sempre più un discorso da hipster (l’evoluzione, solo su scala economica però).
La bontà del progetto comunque non si discute. Non fosse altro che, mal che vada, si vede si visita si conosce e si impara a campare. Di viterbesi che partono se ne contano poche centinaia, in ogni caso. Interessante invece è il dato relativo a quelli di fuori Stivale che qui vengono. Negli ultimi dieci anni, tramite l’Usac (University Studies Abroad Consortium), sono passati in città ben 1500 ragazzi. Piccolo passo indietro: cos’è l’Usac? Un accordo stipulato dalla locale Unitus con addirittura trentatré sorelle statunitensi. Il trattato principalmente prevede l’interazione, lo scambio linguistico, la partecipazione tra gli italiani e i provenienti da Stati Uniti, in primis. Ma anche da Australia, Nuova Zelanda, Corea, Brasile e Messico.
Millecinquecento, si diceva. Numero che inevitabilmente rispecchia gli alloggi occupati dai sottoscritti. Tra chi preferisce la solita “stanza” privata in condivisione. E chi invece si reca comodamente ai domicili preposti di via Garbini. Che oltretutto danno anche diritto ad internet, lavanderia e mensa. Per chi invece non accetta il compromesso ci sta sempre il Lidl.
Sicuramente, scendendo nel pratico, la faccenda ha le sue discrete e positive conseguenze alla voce denaro. Non è infatti inusuale incontrare combriccole estere che mangiano, bevono e consumano, disperse per i vicoletti del centro storico.
Tornando ai viterbesi invece (o meglio, agli iscritti all’Unitus), sempre l’Usac concede la possibilità di andarsene a peregrinare in luoghi esotici e normalmente poco ambiti come Brasile, Cina, Costa Rica e Thailandia. Che tra l’altro, a leggerli così, non son mica male. E non solo per le opportunità di lavoro…
Per quanti fossero interessati, infine, va ricordato che a partire dal 2014 dopo la parola Erasmus va messo un “+”. Versione aggiornata del vecchio pacchetto, ideata ad hoc per 4milioni di persone in sette anni (cifra presunta, per la questura saranno due manciate al massimo). Si, ma cosa cambia rispetto al passato? Sono previsti il miglioramento nella cooperazione tra organi che si occupano dell’istruzione. Semplificazione delle norme di finanziamento. Allargamento degli insegnamenti su campi come lo sport. Sensibilizzazione verso il mondo del doping e del razzismo (che c’entra?). Nonché un tipo di istruzione improntato all’avvicinamento tra studi universitari e mondo del lavoro.
Tranquilli, pertanto. Le novità sono buone. Ma le vecchie certezze rimangono.