La storia dei 30 ettari di Faggeta da tagliare – la Faggeta depressa del lago di Vico, unica, secolare e dall’inestimabile valore naturale – è arrivata anche sulle prestigiose colonne de Il Corriere della sera. Ha scomodato persino la penna di Fulco Pratesi, fondatore del Wwf Italia e uno degli ambientalisti più illustri del Paese. E adesso, dopo aver ascoltato le ragioni di chi si oppone a questa operazione, è doveroso ascoltare anche le ragioni, la posizione, dell’altra parte. Vale a dire del Comune di Caprarola, sul quale insistono 300 ettari della selva, 30 dei quali – secondo le accuse delle associazioni e degli attivisti – sarebbero soggetti al piano di gestione forestale.
E’ vero, sindaco Eugenio Stelliferi?
“Innanzitutto va detto che il nostro Comune non ha mai avuto un piano di assestamento forestale. E che quello attuale è frutto di otto anni di studio accurato, dopo aver ascoltato tutte le parti e con il parere favorevole della Regione, della Forestale e di tutte le entità preposte”.
Però si parla di tagliare alberi, faggi secolari.
“Sul mantenimento e il futuro del bosco, in verità, esistono due scuole di pensiero ben precise”.
Quali?
“La prima sostiene a prescindere che il taglio degli alberi sia un danno, perché oggi non ci sono più le condizioni ambientali e climatiche per la ricrescita, per rigenerare la faggeta”.
E la seconda?
“Che non tagliare porterebbe i faggi direttamente alla morte”.
E voi, da che parte state?
“Noi, come Comune, non abbiamo mai avuto la presunzione di possedere la verità. Non siamo tuttologi, avremmo potuto affidare tutto ad una società specializzata, e dire: pensateci voi, come si fa con gli avvocati. E invece, sa cosa abbiamo fatto?”
No. E nemmeno gli ambientalisti, a quel che si legge, sembrano saperlo.
“Abbiamo affidato lo studio all’Università della Tuscia. Per la durata di cinque anni di sperimentazione, su trenta ettari di bosco, sulle quali lavorare in particelle di mille metri ad ettaro”.
Che vuol dire, sindaco?
“Che si tratta di una sperimentazione non invasiva, neanche ravvisabile da un controllo aereo, per dire: piccole porzioni di bosco”.
E quindi?
“Nei prossimi cinque anni gli esperti dell’università faranno le loro verifiche. E al termine, risultati alla mano, valuteremo quali saranno le cose da fare, quale cura applicare. Senza nessun impegno né alcun pregiudizio. Se sarà dimostrato che per il futuro della faggeta conviene tagliare, taglieremo. Altrimenti, se conviene non tagliare, non taglieremo”.
Quindi nessuna smania di imbracciare la sega…
“Ma figuriamoci. Come Comune facciamo mille cose nel bosco, concerti ed eventi da primavera all’estate, e abbiamo riservato 150 ettari dall’invecchiamento. Siamo i primi a valorizzare la nostra ricchezza, e da caprolatti, agricoltori per antonomasia, sappiamo pure che la potatura spesso rappresenta la salvezza delle nostre piante. Per questo vogliamo capire quale sia la strada da intraprendere per tutelare la nostra faggeta”.
Ha provato a spiegare queste cose agli ambientalisti?
“Come no. Diverse volte, nel corso degli incontri che abbiamo avuto. Però, se qui si mette in discussione persino l’autorevole parere dell’Università, non so cosa può più contare. Se non dovesse bastare la nostra buona fede, io ripeto sempre una cosa”.
Quale, sindaco?
“E’ quell’antico proverbio indiano: noi non abbiamo ereditato la terra dai nostri padri, ma l’abbiamo in prestito da nostri figli”.
Bello. Nobile.
“Ecco, ora non resta che sostituire il termine terra con il termine faggeta”.