Quando si dice che la politica politicante fa venire (giustamente) l’orticaria ai cittadini, bisognerebbe avere la costanza di sorbirsi due ore e passa di dialoghi all’assemblea dell’Ato, cioè il consesso (Ambito territoriale ottimale, si chiama: già il nome è tutto un programma…) che raggruppa tutte le municipalità della Tuscia, le Province di Roma e Viterbo e tre comuni fuori confine (Campagnano, Magliano Romano e Mazzano Romano). In sostanza gli enti che utilizzano Talete, l’azienda che gestisce il servizio idrico. O meglio che dovrebbero utilizzare il gestore unico. E già qui arriva una prima sorpresa: la legge prevede che la Regione debba intervenire entro il 31 dicembre commissariando i comuni che ancora non hanno provveduto alla cessione del servizio. E la Pisana che fa? Scrive una lettera all’Ato viterbese diffidandolo a diffidare le amministrazioni inadempienti. Un capolavoro dell’ottusa burocrazia italica. Ma non era più semplice farlo direttamente? Certo che lo era, ma gli scienziati della Regione Lazio hanno pensato che era meglio non sporcarsi le mani di persona, affidando l’antipatica incombenza ad altri.
Passiamo oltre. Accanto al presidente dell’Ato (l’assessore provinciale all’Ambiente Paolo Equitani: Marcello Meroi è dimissionario da un anno) siede il capo di Talete, Stefano Bonori, affiancato dai massimi dirigenti dell’azienda. Tocca a loro spiegare nei dettagli l’ormai famoso Parca, il piano per il rilancio dell’azienda che peraltro era già conosciuto da oltre un mese. La discussione seguente è surreale: al centro l’aumento di capitale, le garanzie da fornire alle banche per ottenere prestiti, le tariffe, i debiti pregressi. Su un punto sono tutti d’accordo, sia pure con accenti diversi: Talete va salvata.
Per semplificare, tutti i primi cittadini del centrosinistra sono favorevoli e vorrebbero votare subito. Dai banchi del centrodestra (presenti 6 comuni: Vetralla, Canino, Blera, Tessennano, Montalto di Castro e Barbarano Romano) c’è l’accordo, con una serie di sottili distinguo e dissertazioni varie sul come e sul perché, nonostante una sostanziale adesione, come si vedrà al momento di votare. Ad una necessaria sintesi pensa il sindaco di Acquapendente Alberto Bambini con una sorta di lodo che dovrebbe mettere d’accordo tutti: “Voto favorevole, subordinando all’approvazione del consiglio comunale nei tempi e modi che determinerà lo stesso, l’aumento di capitale sociale o fideiussione in favore di Talete o altre forme migliorative che potrebbero scaturire dall’evoluzione delle normative, non precludendo finanziamenti esterni garantiti dalla Regione”. Poche righe che tengono conto delle esigenze di tutti. Alle 14 passate (dopo che la riunione era cominciata con un inspiegabile e ingiustificato ritardo di un’ora) finalmente si vota.
L’Ato (presenti 28 enti in rappresentanza di circa 166mila cittadini) dice sì al Parca con due voti contrari: Provincia di Viterbo e Tessennano. Quanto meno singolare la motivazione del niet di Palazzo Gentili: “Diciamo sì al Parca, ma no agli aumenti delle tariffe”, scandisce l’assessore Equitani. Molto sommessamente va ricordato che da febbraio in poi l’aumento delle tariffe del 9% sarà già inserito in bolletta, in quanto in precedenza la conferenza dei sindaci non aveva deciso in merito e quindi Talete aveva girato la richiesta di indicare l’aumento all’autorità per l’energia (il rischio, abbastanza improbabile, è che si possa arrivare al 27%). Più articolato il diniego di Tessennano: “Non vogliamo caricare sui cittadini il risanamento di Talete, che invece deve essere garantito dalla Regione”. In rapida sequenza (con gli stessi schieramenti precedenti: tutti sì e i soliti due no) si approvano il recupero dei debiti pregressi (0,20 centesimi al mese per 7 anni: in totale 9 milioni di euro) e l’aumento del costo di allaccio che passa da 80 a 120 euro (“Sono le spese vive: per anni l’azienda ci ha perso”, aveva chiarito Bonori). Non si vota, proprio per le ragioni già esposte, l’aumento delle tariffe. Intorno alle 15 si va finalmente a casa: i tanti lavoratori della Talete (in totale sono 153) che avevano seguito col cuore in gola i troppi arzigogolii della politica politicante possono tirare un sospiro di sollievo. Posto di lavoro e stipendi sono in salvo. E in attesa che mastro Zingaretti decida sul gestore unico regionale in un ciclostilato indirizzato ai cittadini e distribuito in via Saffi chiariscono il loro punto di vista: “Oggi l’acqua costa molto? Domani, se privatizzata, molto molto molto di più”. L’ascia di guerra per ora è solo riposta.