La carta Europea dei diritti del malato, all’articolo 2, prevede il diritto all’accesso ai servizi sanitari e recita: “Ogni individuo ha il diritto di accedere ai servizi sanitari che il suo stato di salute richiede. I servizi sanitari devono garantire eguale accesso a ognuno, senza discriminazioni sulla base delle risorse finanziarie, del luogo di residenza, del tipo di malattia o del momento di accesso al servizio”. Sappiamo però tutti che il tempo di attesa per le prestazioni sanitarie rappresenta oggi una delle maggiori criticità percepite dal cittadino nei suoi rapporti col sistema sanitario. E, allo stesso tempo, rappresenta anche la prima risposta che egli riceve dal sistema stesso quando presenta una richiesta. In molte Asl italiane, ed in particolare in quella di Viterbo, questo diritto non è garantito in quanto per poter eseguire una visita medica bisogna attendere anche diversi mesi. Va ricordato che i tempi massimi, per ben 58 prestazioni sanitarie, sono fissati dalla legge in 30 giorni per le visite specialistiche e 60 per la diagnostica strumentale . Tali tempi però, difficilmente vengono rispettati, con danni enormi per i cittadini, che sono costretti a rivolgersi allo specialista pagando le prestazioni mediche con tutte le conseguenze che ne derivano, soprattutto in un periodo di crisi economica come quello che stiamo attraversando. Nella tabella a fianco ecco i tempi di attesa, riferiti ai primi di gennaio 2013, di alcune prestazioni specialistiche nella Asl viterbese. Si evince che i tempi di attesa più lunghi riguardano gli ecodoppler, gli ecocardiogramma, la gastroscopia, la mammografia e gli Ecg da sforzo. Esami questi che si caratterizzano per il loro largo impiego in ambiti clinici di grosso impatto per la salute dei cittadini, come le patologie cardiovascolari, neurologiche e oncologiche. Chiudere le prenotazioni (liste di attesa bloccate) come avviene per la risonanza, è vietato dalla legge n. 266/05 e le regioni possono applicare, ai responsabili della violazione, pesanti sanzioni in denaro. I flussi passivi (cittadini che effettuano prestazioni sanitarie fuori dalla propria Asl di residenza) contribuiscono a raddoppiare il costo della prestazione che l’azienda deve rimborsare all’erogatore. I cittadini restano sconcertati ed amareggiati dalle lunghe attese previste, soprattutto quando, contattando il Cup o recandosi presso gli ospedali, si sentono proporre di accettare per lo stesso esame e nella stessa struttura, la disponibilità, a pochi giorni di distanza, ma a pagamento (cioè in intramoenia). Appare quindi sempre più una strada obbligata, e non una libera scelta, rivolgersi a professionisti privati, poiché ormai sono gli unici in grado, dietro lauti pagamenti, di soddisfare i tempi dei pazienti che il Servizio Sanitario Nazionale non è in grado di garantire. E allora ci si domanda: “I cittadini che non sono in grado di sostenere i costi richiesti dalle strutture private devono rinunciare alla tutela della loro salute? E quali garanzie dà l’art. 32 della Costituzione, che tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo? Inoltre, se esistono leggi che tutelano il diritto alla salute dei cittadini, perché non vengono applicate? E’ pur vero che la carenza di personale influisce sulla qualità e sulla quantità delle prestazioni sanitarie, ma va ritenuto che se i vertici delle Asl applicassero modelli organizzativi, non solo per monitorare il fenomeno “tempi di attesa”, ma anche per predisporre soluzioni e processi di miglioramento, sarebbero in grado di garantire a tutti tempi d’accesso alle prestazioni sanitarie certi ed adeguati ai problemi clinici presentati, nel rispetto di fondamentali diritti della persona, quali la tutela della salute e l’eguaglianza nell’accesso alle prestazioni sanitarie.