Le primarie del Pd? Non c’è fretta. Anzi, meglio organizzarle come si deve. E allora, meglio rinviarle. Alla prima domenica di aprile, così da celebrarle in contemporanea con quelle romane, che dovranno designare il candidato del centrosinistra al Campidoglio. Una decisione che con molta probabilità sarà presa oggi al termine di un’approfondita (si dice così?) riunione dei vertici provinciali del Pd. I quali dovranno valutare tutto. I pro e i contro. A cominciare dalle previsioni meteorologiche che certo, a primavera inoltrata, potranno favorire un maggior afflusso di elettori.
Battute a parte, è evidente che i nodi non sono stati sciolti del tutto. Giacché mentre alcuni candidati (Serra, Valeri e Capo) hanno accettato il protocollo d’intesa già approvato e cominciato al relativa raccolta di firme, c’è anche chi (leggi: Michelini) intende ancora discutere di regole, chiedendo primarie aperte alla città e non solo riservate a Pd e Sel. L’intento è chiaro: il presidente di Coldiretti teme di rimanere imprigionato in uno schieramento univocamente di sinistra che a suo avviso non lo porterebbe da nessuna parte. E quindi pretende che il campo sia allargato: alla cosiddetta società civile, ma anche a pezzi delusi del centrodestra intenzionati a fare il salto della barricata. Una condizione che l’uomo considera irrinunciabile per poter partecipare alla kermesse.
Detto ciò, il rinvio dovrebbe consentire – secondo i responsabili viterbesi del partito – di avere più tempo per organizzare le cose al meglio, ma a questo punto si pone anche l’incognita di eventuali reazioni da parte di chi delle primarie ne ha fatto un vero e proprio comandamento e che potrebbe vedere in questa dilazione un escamotage per arrivare ad un nulla di fatto. La tensione nel partito viterbese insomma, è destinata a salire nelle prossime ore. E forse non ce n’era proprio bisogno visto che anche a Roma non è che quelli del Pd stiano facendo sonni tranquilli.