Dice: le cose per cui vale la pena vivere sono tre. Il calcio, il cibo e la terza, be’, la terza mica si può scrivere qui. Però, unendo le prime due, innaffiando con abbondante vino di qualità, ecco che viene fuori un bel viaggio attraverso un pezzo d’Italia. Ce lo regala la Viterbese, tornata quest’anno sui palcoscenici più congeniali della serie D (ma ancora lontana dal rientro tra i professionisti). Così, calendario della prossima stagione alla mano, andiamo a farci questo giro. Buon appetito, e buon campionato.
La partenza è facile, un gol a porta vuota. Il 7 settembre si va a San Cesareo, un’oretta e un quarto di macchina rispettando i limiti, giù lungo l’A1. Il menù d’ordinanza: cucina romanesca, con una raccomandazione specifica. Assaggiare i frascarelli, una specie di polenta di riso messa sulla spianatoia e condita con ragù rosso di salsiccia. Un po’ pesante, per una partita di fine estate, ma consideriamolo un bel modo per inaugurare un anno lungo e faticoso. Da bere? Vino dei Castelli, naturalmente a fiumi.
Alla terza giornata si torna a viaggiare, e si vola in Sardegna, ad Arzachena. Aeroporto Olbia Costa Smeralda, dove una volta atterravano le ragazze di Papi e dove oggi allunano i jet privati dei russi e degli sceicchi. Ma noi saremmo qui per una partita di calcio, mica per fare vip watching. Ma prima, la pappatoria: se non amate il pesce (ce n’è di qualità, da queste parti) o temete che in Costa Smeralda vi stacchino una mano al momento del conto, ecco la soluzione. Si chiama zuppa gallurese, pane intinto nel brodo di carne e messo al forno, poi alternato a strati di formaggio ed erbette aromatiche. Oppure, gli gnocchi galluresi, che non sono i malloreddus. Da innaffiare con un massiccio Cannonau, o per chi preferisce il bianco con Vermentino di Gallura.
Il 12 ottobre, dopo due partite in casa, si va a Genzano, contro il Cytnhia. E basta la parola: il pane di quelle parti è di un’altra categoria, magari con la porchetta incorporata e un bicchiere di Frascati. Ce ne fossero ogni domenica, di trasferte ai Castelli, quasi converrebbe fare la tessera del tifoso.
Il 26 ottobre, ottava giornata, la prua va messa ancora in direzione sud, un paio d’ore di A1 e statale prima di arrivare a Sora. Attenzione: questa non è Ciociaria, pure se provincia di Frosinone, e coi bianconeri locali c’è una rivalità che risale ai bei tempi della C1. Il vicepresidente, poi, è quell’Andrea Pecorelli che a Viterbo non lasciò un buon ricordo, diciamo così. Comunque, parliamo di cose serie: funghi a cascata, perché siamo in autunno, e salumi e formaggi tipici. Per chi ha sete nessun problema: una bottiglia di Cesanese del Piglio – il miglior vino rosso di tutto il Lazio – e l’ugola è schiarita, pronta a cantare i cori gialloblu.
Pure la trasferta successiva è tanta roba: il 9 novembre si scende a Terracina, alla faccia di quelli che dicono che il mare d’inverno mette tristezza. In auto, meglio prendere l’Autosole fino a Frosinone e poi imboccare la statale dei Monti Lepini, l’alternativa è quella giungla della Pontina da Roma. Arrivati giù, però, è tanta roba: il miglior pesce che ci sia, freschissimo, a partire dal cosiddetto pesce povero (ma ottimo) come le alici, pescate proprio davanti l’antichissima città. Insieme agli ortaggi della fertile pianura di Latina. Per gli assetati c’è il Moscato di Terracina, un bianco spettacolare che piacque pure ad Ulisse. Con la certezza che il campionato della Viterbese non sarà un’odissea.
Ancora mare alla dodicesima giornata, anche se tra Terracina e Ostia c’è una bella differenza. Trasferta comoda: si arriva a Roma, si prende il raccordo e si esce alla Cristoforo Colombo, direzione Ostia (in alternativa, la parallela Via del Mare, ma occhio agli autovelox). Ostia è un quartiere della capitale, d’accordo, e dunque attenzione: tanta offerta, rischio di prendere una sòla altissimo. Evitare i ristoranti sul mare, cercate qualcosa nell’interno. Pesce, ma anche cucina romanesca ed etnica.
Il 7 dicembre ancora in provincia di Roma, a Palestrina e visto che il giorno dopo è l’Immacolata ci si potrà concedere un finesettimana allungato. Partita e cenetta? Perché no. Si prende l’A1, si esce per la Roma-Teramo, di qui Maremmana inferiore e zagarolese: un’ora e mezza e passa la paura. A Palestrina si mangia bene, e dunque: zuppa di ceci o fagioli, fettuccine fatte a mano con sugo di rigaglie di pollo, gnocchi. Mica male, alla faccia del digiuno penitenziale.
Il 21 dicembre, ultima partita dell’anno solare, la Viterbese sarà di scena a Fondi, in provincia di Latina. Per arrivarci vale lo stesso discorso di Terracina, che è a due passi. Ovvio che pure qui si mangi bene: dagli ortaggi e le verdure (c’è il mercato ortofrutticolo più grande d’Italia) ai kiwi, l’Agro pontino è tra i primi produttori al mondo del frutto verde. Roba più consistente? Gli strangolapreti – o strangolaprevt, come li chiamano lì – pasta fatta a mano con le cinque dita e condita con ragù di carne. E ancora: il baccalà coi peperoni (clamoroso) ma anche il pesce di mare e dei vicini laghi costieri. Rane e anguille, per chi ama il genere.
Il girone di ritorno si apre con la Sardegna. Si va ad Olbia, comodo comodo, e cozze come se piovesse: sono la specialità della casa. Grosse, piene, da spadellare o nella classica impepata. Col Vermentino è la morte loro. E chissene delle indigestioni.
L’8 febbraio si torna agli amatissimi Castelli, anche se contro la Lupa si gioca a Frascati, campo che evoca il peggiore ricordo della storia recente dei gialloblu, con quella finale di coppa Italia persa – male – l’anno scorso. Per dimenticare ci vorrebbe una bella vittoria contro la squadra di Gagliarducci e naturalmente annessi e connessi: qui le fraschette abbondano, se magna bene e se spenne poco. Anche intorno allo stadio, già testate dai nostri esperti: porchetta, salumi, formaggi, verdure sottolio spettacolari, siori e siore. Vino? Il Frascati. Pare che da quelle parti esca pure dalle fontane…
Appena una settimana e via in Sardegna, stavolta nel sud dell’isola: a Selargius, per la precisione, che è praticamente Cagliari (l’aeroporto di Elmas sta a due passi). Anche da queste parti allena (sempre che per allora non sia già stato esonerato) una vecchia conoscenza: Karel Zeman, figlio di, ed ex tecnico delle giovanili gialloblu. Prodotti tipici: i capperi, e soprattutto i ricci di mare. Per il sugo, ma anche crudi. Si spaccano, uno schizzo di limone, mollica di pane e giù, con un sorso di vernaccia. Da paura.
Pure il 1 marzo si torna in Sardegna, ma a Budoni, a nord, vicino ad Olbia. Pesce e carne, non c’è che da scegliere. Il 15 si va sul campo dell’Astrea, a salutare mister Rambaudi, l’ultimo tecnico della Viterbese tra i professionisti. Siamo a Roma, caput mundi e caput cibi. Dalle trattorie tipiche – i bujaccari – ai grandi ristoranti stellati fino ai locali alla moda e agli etnici, ai fast food.
La primavera comincia con la trasferta di Anzio, due ore di auto (144 chilometri) con l’inferno della Pontina, ma poi si arriva lì, dove nell’inverno del 1944 sbarcarono gli Alleati per liberare la Capitale. Allora Anzio era un porto di pescatori e di corallari, oggi quelle baracche sono diventate trattorie e ristoranti per tutti i gusti. Il pesce te lo tirano. Specialità: la zuppa, o zuppetta, nata come piatto povero, con gli scarti del pescato, e oggi diventato pasto sontuoso.
Sfida successiva, il 12 aprile, ad Aprilia, 130 chilometri da percorrere in un’ora e mezza. La cucina è romanesca, da innaffiare con un ottimo Sangiovese rosato doc. La penultima trasferta, il 26 aprile, si abbina al ponte della Liberazione e porterà i gialloblu, tifosi al seguito, a Isola del Liri, nel frusinate. Sono 189 chilometri, via A1 fino a Ferentino. La cucina locale mescola sapori romaneschi e suggestioni napoletane. Da provare, i finifini, delle fettuccine sottili condite con ragù cotto a fuoco lento, alla napoletana appunto. Ma anche le zuppe di legumi, l’agnello e soprattutto il pesce d’acqua dolce, che non proviene più dal fiume Liri ma dagli allevamenti della zona. Gamberi di fiume e trote: niente male.
L’ultima trasferta (salvo eventuali playoff) è a Nuoro (Nùgoro in dialetto). Nel cuore della Sardegna, un po’ scomoda da raggiungere, ma per il menù vale la pena: pane carasau, formaggi e soprattutto Sua Maestà il porceddu. E basta la parola. Da bere? Il Nepente di Oliena, rosso cantato anche da D’Annunzio (uno che se ne intendeva) e per digerire una litrata di mirto, altro che sakè. Per brindare alla fine di un campionato che, se non vedrà la Viterbese vincente, vedrà almeno i suoi tifosi più impavidi ingrassati di una ventina di chili. Tanto per rimettersi in forma c’è tutta un’estate senza calcio…
Articolo ficata!!!!!