21112024Headline:

La tradizione mixata con la modernità

Colombo Calistri

Colombo Calistri

Sul versante meridionale dei monti Cimini, si trova Caprarola. Il suo nome è indissolubilmente legato a palazzo Farnese,  la villa suburbana di Alessandro Farnese, poi papa Paolo III. Maestoso e altero, il palazzo si mostra con orgoglioso distacco dalla sua posizione di rilievo alla fine del rettifilo  voluto  da Jacopo Barozzi, detto il Vignola, che spacca a metà il borgo. Un impatto scenografico forte in cui si sommano il valore prospettico e quello cerimoniale.

Proprio sul finire di questa lunga strada definita non a caso “lo diritto”, sulla sinistra si legge l’insegna “Trattoria del Cimino”. Il locale occupa quelle che probabilmente furono le scuderie del palazzo Riario ed è una tappa obbligata sia per chi vuole perdersi tra le costellazioni della sala del Mappamondo, sia per chi semplicemente ha voglia di mangiare la buona cucina tradizionale.

“Nel 1940 nonna Giuditta aprì qui la prima bettola di Caprarola. Era un punto di ritrovo e di bevute” dice Colombo Calistri che gestisce ora l’attività insieme a sua moglie Maria Assunta. In cucina  c’è ancora la mamma di Colombo, la signora Angela che continua ad arrivare presto la mattina per preparare quella bella pasta tirata a mano, ruvida e consistente  al punto giusto.

L’antica bettola era in realtà un locale multifunzionale come l’avrebbero definita oggi gli architetti più trendy, perché una parte era adibita a negozio di fiori e l’altra alla ristorazione. “Questo era un luogo di ritrovo, la mattina per le colazioni e più tardi per bere, ma non solo. Nonna Giuditta e zia Fortunata lavoravano qui insieme, una faceva i caffè l’altra si occupava dei fiori che all’epoca significava perlopiù fare le corone. Coglievano i fiori nei campi e qui li intrecciavano con le cannucce”. Dice Colombo ridendo. Una faccia aperta e gioviale e un modo di raccontare coinvolgente ne fanno il classico ristoratore con cui speri di scambiare quattro chiacchiere a fine pasto, magari invitandolo a condividere un bicchiere.

“Piano, piano il lavoro è aumentato, artigiani, cavallari, artisti, contadini avevano bisogno di  una colazione più sostanziosa del solo caffè e si cominciò a servire trippa, nervetti supplì e vino. E iniziarono a comparire le carte, si giocava e ci si giocavano le fogliette, ovvero i ½ litri di vino. Poi iniziarono ad arrivare i turisti della domenica e allora si preparavano fettuccine al ragù e pollo arrosto con i peperoni. Chi veniva a giocare a carte trovava la gente a mangiare così comparve il paravento a dividere il locale”. Ascoltare Colombo è come rivedere gli interni di “Ladri di biciclette”. “E poi c’erano i matrimoni. All’inizio c’era l‘usanza delle “passate”, ovvero di offrire agli invitati delle bevute di liquori, in base alle passate si poteva capire il livello sociale della famiglia. E poi c’era il pranzo con il menu tipico dei matrimoni: stracciatella, fettuccine al ragù, pollo, involtini e zuppa inglese. Qualche tempo fa abbiamo cercato le foto di chi si era sposato qui e abbiamo organizzato una serata con stornelli riproponendo una lunga tavolata con  menu tradizionale. In qualche caso sono venuti i figli o i nipoti, ma è stato comunque emozionante rivedere le immagini e ripercorrere momenti belli, ormai lontani”.

La sala si è svuotata completamente e Colombo si è potuto sedere al nostro tavolo, arriva anche Maria Assunta e porta le foto dei vecchi matrimoni e quelle della serata.

“Nel 1955 – racconta ancora Colombo – è arrivata una delle prime televisioni e gli anziani venivano qui per seguire i quiz o le trasmissioni di successo. In quegli anni all’entrata c’era il  bar poi arrivò il calciobalilla e il flipper”. Un’evoluzione che  traccia la storia dei consumi e della società, si potrebbero ripercorrere le tappe che hanno trasformato, a volte troppo rapidamente, l’Italia. Vengono in mente molte pagine dei Racconti Romani di Moravia, la vita nel secondo Dopoguerra stralunata e drammatica, vitale e disorientata piena di nuove possibilità e di contraddizioni.

“Tutto questo fino agli anni ’80, dopo abbiamo deciso di lavorare solo sulla trattoria” conclude Colombo.

“E siamo arrivati ai nostri giorni. Oggi avete deciso di rimanere su una cucina tradizionale, solida, dai sapori decisi e puliti, senza cedere alle lusinghe di una cucina finto-popolare dal successo immediato, ma effimero.  E nel futuro, come vedi questa attività? Samuele, tuo figlio, sta facendo belle esperienze all’estero nel campo della ristorazione” dice Carlo Zucchetti, sgranocchiando un tozzetto con nocciole dei monti Cimini.

“Sì, attualmente è al Four Seasons di Ginevra, vedremo cosa vorrà fare nel futuro. L’importante è che trovi la sua strada” risponde Colombo sorridendo.

“Quello della ristorazione è un lavoro duro, ultimamente troppo spesso affrontato con superficialità. Bisogna sapere cosa significa e affrontarlo con competenza e serietà”  ribatte Carlo, riprendendo un discorso che gli è particolarmente caro, quello della competenza professionale e della formazione.

“È vero, bisogna essere pronti ad affrontare tante ore di lavoro, ad essere disponibili con i clienti anche quelli più esigenti. I complimenti e i riscontri positivi  aiutano a sopportare la fatica, ma ci vuole anche tanta passione. Anche le possibilità di conoscere persone particolari, artisti o semplicemente clienti più in sintonia contribuiscono a far sentire meno la fatica e poi sono importanti anche e piccole  soddisfazione come sapere che  In Dracula contro Fracchia l’arrosto nella sala del Mappamondo è nostro o che Paolo Villaggio  amava la nostra pasta condita col sugo delle fracoste”. Al tavolo si è avvicinata anche Maria Assunta, dolce e materna, anche lei è di una simpatia contagiosa.

“Tornando alla Trattoria del Cimino, cucina tradizionale dicevamo, ma con un approccio moderno e consapevole,  buona carta dei vini che punta anche su ottime cantine del territorio,  attenzione alla stagionalità ricerca dei prodotti tipici locali di qualità. E poi due punti di forza notevoli: il clima familiare, accogliente, allegro, spensierato e  questa pasta in cui si sente tutta l’esperienza di chi ha consumato parecchie spianatore.”

Colombo ride, Carlo non avrebbe potuto fare commento più appropriato, visto che  la spianatoia è stata sostituita per usura  proprio in questi giorni.

(dal blog di Carlo Zucchetti)

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