La nave non va. Anzi, rischia di colare a picco perché nel suo scafo continuano ad aprirsi falle sempre più estese, provocate dalle smagliature del tessuto produttivo, dalla progressiva vecchiaia dell’impalcatura demografica, dalla desertificazione industriale, dalla crisi galoppante del commercio, dall’abbraccio soffocante della Burocrazia. Risultato (non definitivo…magari) disoccupazione che si impenna e redditi che sprofondano. Da Bolzano ad Agrigento, passando naturalmente anche per la Tuscia.
Tutta colpa del destino cinico e baro? Fesserie, che magari servono soltanto a individuare un responsabile al quale addossare colpe ataviche e collettive che, invece, fanno capo alla incapacità di orientare e gestire la cosa pubblica di fronte alla nuova e per certi versi devastante stagione della globalizzazione. In altre parole, la politica, il sindacato, l’imprenditoria, persino lo sport, non hanno saputo cogliere la rivoluzione in atto che ha finito per sconvolgere, se non stravolgere, assetti sociali ed economici consolidati nei secoli. Quel mostro che si chiama Burocrazia ha fatto il resto soffocando sul nascere gli intenti di rinnovamento.
Serve uno scatto di reni. Giusto. Se si vuole uscire dal tunnel è necessario cambiare, rinnovare, osare. Se possibile ad una velocità doppia di quella con la quale avanza lo tsunami della globalizzazione. La politica deve decidere in fretta, senza tentennamenti perché il mondo non aspetta. Ma in Italia, più che negli altri Paesi, questo non avviene per colpa di un sistema istituzionale e costituzionale che definire elefantiaco è poco.
La nostra Costituzione, entrata in vigore nel ’48, mostra tutte le crepe dell’invecchiamento. Era una macchina perfetta, messa in campo per assicurare la rinascita del Paese e garantire quelle libertà democratiche che per un oltre ventennio erano state soffocate dal fascismo. Un sistema bicamerale, un presidente del Consiglio eletto dal Parlamento, sostenuto dai partiti e controllato da un presidente della Repubblica, offrivano ampie tutele rispetto a possibili ricadute antidemocratiche. E poi i tempi di rotazione del globo erano più lenti (si fa per dire).
La globalizzazione ha provocato un’accelerazione impensabile: chi si ferma è perduto. Occorre una revisione costituzionale che smonti un apparato statale ormai barocco che impedisce interventi rapidi e, dunque, efficaci. Per essere più chiari, un Parlamento più snello, magari formato da una sola Camera; un governo più flessibile; un premier che abbia capacità di decidere senza rischiare di restare intrappolato nei giochi di potere e che non debba affidarsi troppo spesso ai decreti per affrontare le urgenze del momento. I disegni di legge, si sa, partono sempre accompagnati dai mugugni, vengono sballottati e stravolti dalle lobbies che stazionano con occhio al mirino tra Montecitorio e palazzo Madama. Infine, arrivano (dopo anni) svuotati al Colle. E magari producono provvedimenti che non sono più utili se non dannosi perché intanto il mondo è andato avanti.
Insomma, se non si crea una macchina più veloce e affidabile il rischio evidente è quello di non ripartire perché ci siamo fermati. Chiaro che l’ordinamento dello Stato non può essere mutato in pochi giorni, tanto meno attraverso un blitz antidemocratico. Ed ecco allora che urge una riforma elettorale che produca un sistema parlamentare nuovo e forte, soprattutto in grado di avviare il cambiamento. E allora, prima la riforma elettorale, subito dopo quella delle istituzioni. Altrimenti non si va da nessuna parte, anzi si resta al palo. Mentre qui si continua giocare con mattarelli e porcelli…