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Una PAX Israeliana per rimodellare il Medio Oriente

Marco Fabio Fabbri

Riceviamo e pubblichiamo da “L’Opinione delle libertà” un articolo del prof.Fabio Marco Fabbri

Viterbo,15.10.24

L’esercito israeliano ha occupato il sud del Libano per circa due decenni fino al 2000. Hezbollah, il Partito di Dio, sciita, nasce con l’aiuto finanziario e militare di Teheran nel 1982, e i primi “torrenti di sangue” causati da Hezbollah risalgono al 23 ottobre del 1983, quando fa esplodere due furgoni bomba, uno contro una caserma dei marine statunitensi, uccidendo 241 soldati, e l’altro contro un edificio che ospitava paracadutisti francesi (58 morti). Durante la guerra civile libanese, tra il 1975 ed il 1990, Hezbollah si è evoluto in assenza di uno Stato ufficiale, in particolare nel sud del Paese, una regione a maggioranza sciita, svantaggiata e a lungo trascurata dalle autorità libanesi. Dopo il 2000, data del ritiro delle forze israeliane dal Libano meridionale, Hezbollah, brandendo la vittoria, si è ricavato un posto fondamentale nella vita di numerosi abitanti di questa regione, offrendo loro servizi sociali di base, di regola forniti dallo Stato, come la sanità o l’istruzione.

Il partito di Dio dall’8 ottobre 2023 ha espresso totale solidarietà ad Hamas, così questa milizia libanese fantoccio del regime teocratico iraniano, ha avviato un percorso di sostegno ai terroristi palestinesi con l’obiettivo di agire direttamente contro Israele, lanciando, poi, i suoi missili forniti dall’Iran, nel nord dello Stato ebraico. Nel quadro dell’escalation in orizzontale che sta assumendo la guerra di Israele contro “l’Asse della resistenza”, capeggiato dall’Iran, lo Stato ebraico ha così definito per il Libano i criteri dell’operazione Northern arrows, Hitzei hatzafon, che ha l’obiettivo di ripristinare la sicurezza in Galilea, o meglio la sensazione di sicurezza.

Ma quanti altri leader di Hezbollah dovranno essere annichiliti e quante basi e missili dovranno essere distrutti prima che Israele raggiunga il suo obiettivo? Rispetto a Gaza, sembra che nel “caso Libano” Israele sia pronto ad accontentarsi di un risultato più modesto rispetto alla “vittoria assoluta” pubblicizzata da Benjamin Netanyahu su Hamas. Ma visti gli attori entrati in scena dopo il 7 ottobre dell’anno scorso, oltre Hamas, e Iran, Hezbollah, Houti yemeniti, milizie sciite irachene e siriane, pare che l’operazione israeliana sia quella di rimodellare il Medio Oriente, una volta per tutte, proprio attraverso i sette conflitti in atto. Ma in un momento in cui le nebbie delle guerre oscurano qualsiasi orizzonte di tregua, quale Libano e quale ordine geopolitico mediorientale, e non solo, emerge da questa corsa verso un baratro dal fondo difficile da calcolare?

Intanto Tel Aviv/Gerusalemme sembra aver deciso di voler mettere in ginocchio Hezbollah a tutti i costi, avendo una esplicita approvazione da Washington. Infatti l’offensiva israeliana di terra in Libano ha superato la seconda settimana, causando sembra oltre duemila morti e oltre un milione di sfollati.

Netanyahu ha parlato di una Pax israeliana, che in pratica consiste nel rifare la mappa del Medio Oriente, che è quello che lui stesso aveva già auspicato nel 2003, quando gli Stati Uniti invasero l’Iraq di Saddam Hussein. Allora Netanyahu, contrariamente ad altri leader israeliani, fu uno dei più convinti sostenitori dell’operazione di George W. Bush, insistendo sul fatto che avrebbe costruito un nuovo Medio Oriente; anche se Bush aveva soprattutto altri obiettivi. Ma l’operazione israeliana in Libano è sufficiente per imporre questo nuovo ordine regionale? Sicuramente per un rimodellamento del Medio Oriente, gli israeliani dovrebbero pensare a qualcosa di più grande che colpire il Libano, come cercare di essere più influenti in Siria e Iraq, ma soprattutto in Iran.

Tuttavia, in questo quadro va considerato l’elemento arabo. Così se l’azione israeliana è diretta verso il gruppo islamico di Gaza, e verso gli altri gruppi islamici sciiti in Libano e Yemen (Houthi), si nota una certa tolleranza ed una apparente passività, da parte del mondo arabo, ma se gli israeliani passassero da un progetto di annichilimento di queste tre organizzazioni islamiche filo-iraniane ad un progetto di rimodellamento della regione, sicuramente la permissività sarebbe molto più dubbia. Considerando che l’Egitto, l’Arabia Saudita e la Turchia, tre colossi ognuno con peculiarità importanti, non potrebbero accettare l’egemonia israeliana sulla regione. Comunque, se Hezbollah dovesse cedere, se la passività araba rimane tale, e se la pressione internazionale resta inesistente come nell’ultimo mese, è possibile che gli israeliani potrebbero essere spinti a provare con ogni mezzo a dominare la parte meridionale del Libano.

Intanto Benjamin Netanyahu dopo avere chiesto all’Onu di spostare le forze Unifil a Nord di cinque chilometri, ha ordinato all’Idf, Forze di difesa israeliane, di bonificare” l’area controllata, se così possiamo dire, dai soldati delle Nazioni Unite. Questa mattina all’alba, come comunicato da fonte Onu, carri armati dell’Idf sono entrati nella base Unifil, che ricordo nella parte confinante con la zona sotto controllo di Hezbollah, è riccamente attrezzata con armamenti pronti ad essere utilizzati contro Israele, e “innervata”, nel sottosuolo, da tunnel costruiti da Hezbollah utilizzati sia come rifugi che come aree di stoccaggio armi. Hezbollah ha utilizzato, in questo caso, la base Unifil come protezione da attacchi israeliani.

Ma considerando che Israele mostra grandi risorse nell’uso della forza bruta, la peculiarità che manovra tutto il “sistema israeliano” è probabilmente l’ideologia, in questo caso il messianismo, che è la forma più avanzata di esclusivismo, concetto che avvalora unicamente il proprio agire. In realtà il fattore più rilevante è che il sistema internazionale è in evoluzione e che ci si sta dirigendo verso un Nuovo Ordine Mondiale ad oggi difficile da definire: un duello tra Brics+ e Nato? O un bipolarismo sino-americano? Oppure una sorta di opportunismo diffuso senza leggi né fede? Questo ultimo molto apprezzato dalla globalità. Una cosa è certa: quando l’ordine internazionale varia, è molto difficile che le strutture regionali possano passare facilmente da una “sponda” all’altra.A

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