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La “VIA FRANCIGENA”, una testimonianza storica a cielo aperto

di Anna Maria Stefanini

Viterbo,11.1022 –

Nel 1994 il Consiglio d’Europa conferiva alla Via Francigena la
menzione di “Itinerario Culturale del Consiglio d’Europa”, uno dei massimi
riconoscimenti continentali.

I lettori sicuramente hanno chiara l’importanza delle testimonianze storiche e culturali, incluso quel particolare asse ereditario che
gli antropologi definiscono “cultura materiale”, che si rivela attraverso i manufatti, gli utensili, l’abbigliamento, le case, le tecniche e persino i cibi serviti a tavola.

In questa circostanza vogliamo pedinare questa fondamentale infrastruttura storica, diventata con il tempo uno dei maggiori parametri identitari della civiltà europea.

Alla caduta dell’impero romano d’occidente (476 d.C.) e nel primo Medioevo, le grandi strade consolari romane, che per quasi un millennio avevano contribuito all’espansione e alla tenuta dell’impero, conoscono un plurisecolare ciclo di abbandono e declino.

L’emergere e il consolidarsi di nuove istituzioni globali, quali la Chiesa di Roma e gli imperi dell’Europa centro-occidentale (l’impero carolingio di Carlo Magno prima e il Sacro Romano Impero di Ottone I di Sassonia più tardi), ricostituiscono una relativa stabilità nel quadrante centro-sud-occidentale del continente, riattivando, come effetto collaterale, la dorsale comunicativa nord-sud.

Siamo nei secoli IX e X, ed è proprio in questo periodo che prende forma la “Via Francigena”, l’incredibile infrastruttura che collegava Canterbury (nell’attuale Inghilterra meridionale) a Bari (circa 3.200 Km), dove ci si poteva imbarcare per la Terrasanta.

La Francigena attraversava Reims (Francia), Lausanne (Svizzera), le Alpi nei valichi Monginevro o Moncenisio (talvolta nel Grande e nel Piccolo San Bernardo), Pavia – già capitale longobarda – sino a Piacenza, dove avveniva il “transitus Padi”, ossia l’attraversamento in barca del Po. Nel Comune di Calendasco (dove era l’antico porto fluviale) è ancora conservata

la “colonna del pellegrino”. A sud del Po la via passava quindi per Lucca e per Siena, per poi innestarsi sulla Consolare Cassia, toccando Acquapendente, Bolsena, Montefiascone, Viterbo, Capranica, Sutri e Monterosi. Alla Storta i viaggiatori prendevano la “Via Triumphalis” per raggiungere il Vaticano.

L’ingresso al piazzale di San Pietro avveniva attraverso la “via del Pellegrino” e la l’antica arteria religiosa europea custodisce un vero tesoro etnografico: nei secoli i viaggiatori hanno lasciatopreziose tracce del loro passaggio.

Sulle orme dei pellegrini, nell’Europa del Medioevo orta Sancti Pellegrini”, percorso che venne per questo denominato “Ruga Francisca” (strada dei francesi). L’arrivo in Roma comprendeva anche un trattamento particolare:
la Chiesa di San Lazzaro, dove i pellegrini ammalati (in particolare di lebbra) venivano avviati al lazzaretto di Mons Gaudii (Monte Mario), fuori
dalle mura urbane.

Denominata talvolta “Via dei Longobardi”, “Iter Francorum”, “Via Francisca” o “Romea” (da non confondere con l’omonima strada adriatica), la prima certificazione ufficiale di “Via Francigena” compare nella pergamena chiamata “Actum Clusio” (documento giuridico dell’anno 876 di Chiusi), oggi conservata nell’Abbazia di San Salvatore (Monte Amiata).

La prima descrizione di un viaggio (di ritorno) lungo la Via Francigena è invece dell’arcivescovo di Canterbury Sigerico, contenuta nello scritto detto “Itinerario i Sigerico” di fine X sec.
(“de Roma usque ad mare”; il mare era quello della Manica). Sigerico era sceso a Roma per ritirare da papa
Giovanni XV il “pallium”, un importante paramento sacro di lana bianca, da indossare a simboleggiare l’agnello che il buon pastore porta sulle spalle. Il suo viaggio di ritorno si svolse in 79 tappe.

DA ROMA A GERUSALEMME

UN UNIVERSO IN MARCIA

A sud di Roma la Via Francigena proseguiva per la via Appia fino a Benevento, dove imboccava la via Appia
Traiana che scavalcava l’Appennino campano fino a Troia, nel Tavoliere delle Puglie. Da qui si potevano
raggiungere i porti di Bari, Brindisi e Otranto e prendere le rotte marine per la Terrasanta.

È opportuno ricordare che la Via Francigena era in realtà un collettore viario flessibile sul quale confluivano diverse altre strade e che poteva offrire diverse alternative di percorso, a seconda delle esigenze e delle caratteristiche dei viaggiatori e dei mutamenti territoriali.
Ad esempio, dopo la morte di SanFrancesco, molti pellegrini
preferivano deviare per raggiungere Assisi.

Ma chi erano gli “utenti” della
francigena? Prima di tutto i pellegrini.

Il pellegrinaggio verso la “tomba di Pietro” era nel Medioevo una delle tre “peregrinationes maiores”, le altre erano la Terrasanta e il santuario
di Santiago di Compostela (dove si troverebbe la tomba dell’apostolo Giacomo); le prime due richiedevano
entrambe il passaggio lungo la Via Francigena.

Poi c’erano i funzionari e i delegati delle istituzioni pontificie, imperiali, feudali e
comunali.

La Via Francigena era utilizzata anche dai mercanti, tra i quali molti
frontalieri italiani interessati
a vendere le proprie merci alle
“fiere” in Francia.

Infine c’erano i “crociati”, parte dei quali, come Ugo di Vermandois (1096), seguirono la via del mare, imbarcandosi
a Bari per raggiungere Costantinopoli, punto di passaggio strategico per le
armate crociate.

Ma lungo la Via Francigena transitarono anche gli intellettuali, i libri e gli studiosi; certamente anche i numeri di Fibonacci (1170–1235).

La Via Francigena: una testimonianza storica a cielo aperto.

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