21112024Headline:

Stella Azzurra, antiche e nuove emozioni

stella azzurraCerte macchine del tempo funzionano davvero, mica solo nei film di serie B. Certe macchine del tempo sono fatte di sensazioni, di ricordi, di colori e di sapori e anche di odori che ritornano all’improvviso. Magari dopo anni che erano rimasti spenti, in una parte buia del cervello. Ecco, stare al PalaMalè l’altra sera, in occasione di gara due dei playoff tra Ilco e Luiss, era come stare dentro questa macchina del tempo. Perché per quaranta minuti effettivi di basket, e almeno il doppio di tempo reale, sembrava di essere tornati indietro di vent’anni. Stesse emozioni. Stessi rumori. Stessa tensione. Persino l’aria del palazzetto pareva aver recuperato la sua antica consistenza, coi riflettori sparati che tagliavano l’umidità e il sudore. E se qualcuno alla fine si è illuso che quei vent’anni non fossero mai passati, be’, problemi suoi. Si faccia vedere da un buon analista.

Invece il tempo fugge, e nel basket ancora di più, perché il cronometro è spietato e certe cose che sono state (la grande Sisv femminile, i guerrieri della Libertas che sfiorarono la serie A, la patinata e pettinata Gescom) non torneranno. Però la Ilco, la Stella Azzurra, può aprire un nuovo capitolo della storia tra Viterbo e i canestri. E’ sulla strada buona, e lo si è capito proprio l’altra sera. Intanto, per la gente, il pubblico, il popolo stellino. Che se prima era una grande famiglia racchiusa sulla tribunetta della palestra della Verità, oggi è straripato fino ad occupare il PalaMalè, e a risvegliarlo. C’erano gli stellini, sulle tribune, e d’accordo. Ma c’erano anche tanti malati di basket che avevano vissuto gli ultimi anni in letargo, a curare la crisi d’astinenza davanti alla televisione, o sfogliando l’album dei ricordi. Oggi la Ilco, la Ilco che vince, ha dato loro una nuova buona ragione per tornare a palazzo. E per tifare qualcosa che sia di Viterbo. Hanno imparato in fretta i nomi dei giocatori: del coraggioso Rossetti e dello sfacciato Caula, del tosto Toselli e di Ottocento. Del Rogani che vola e del Giganti che lotta. Si fa presto a mandare a memoria le facce, i numeri, persino i tic di chi sul parquet non smette mai di lottare. C’erano quelli che se la prendono sempre con gli arbitri, che s’arrabbiano a prescindere: hanno scoperto che i fischietti non sono cambiati rispetto a vent’anni fa, sono sempre pessimi.  C’erano pure tanti addetti ai lavori, la spina dorsale del basket viterbese e delle sue molteplici realtà: per una volta è sembrato pure che tutti tifassero davvero per la Stella, uniti e non gufanti. Ma forse questa è stata soltanto un’impressione, una suggestione viziata dal clima di festa. C’erano pure i candidati, i politici, ma si sono persi nella marea umana, perché in un palazzetto è praticamente impossibile fare passerella: quelle sono cose da calcio. E c’era anche Piero Camilli, il signor Ilco, seduto ai piani alti, tranquillo, rilassato: Comandante, se il pallone la stressa troppo faccia un pensierino al basket ad alti livelli, naturalmente qui a Viterbo. Potrebbe sorprenderla.

La partita con la Luiss non è stata eccezionale. E chi c’era anche all’andata, a Roma, non se n’è stupito: troppo alta la posta in palio per rischiare, per osare. Alla fine la Ilco ha retto, ma gli universitari hanno avuto l’onore delle armi, e con quella bomba allo scadere hanno sfiorato persino la beffa. Alla fine, Azzurro cantata a squarciagola dalla squadra e dal pubblico invadente (nel senso che aveva invaso il campo) è stato bellissimo e liberatorio. Cerco l’estate tutto l’anno, e adesso speriamo che l’estate non arrivi mai, e che la Ilco arrivi fino in fondo a questa primavera di passione e di playoff.

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