Bilanci in rosso per le Camere di commercio di (quasi) tutta Italia. Sembra quasi un ossimoro, ma è così. A certificarlo un’analisi effettuata dall’Adnkronos che ha studiato i dati contenuti nelle tabelle Istat (quindi fonte più che ufficiale), raggruppando le informazioni delle 105 strutture sparse nei 20 enti territoriali (cioè le Unioncamere regionali). L’analisi è stata effettuata sui dati del 2014.
I risultati a livello nazionale sono sorprendenti: su un totale di 20 regioni, solo in 3 gli enti camerali hanno chiuso il 2014 in positivo, mentre nelle altre 17 la somma tra entrate e uscite dà sempre il segno negativo. In totale, i proventi sono arrivati a 1.564 milioni di euro, mentre gli oneri hanno raggiunto quota 1.631 milioni con un risultato negativo pari a 67 milioni. In questo quadro, il Lazio segna un risultato fortemente negativo, pari -14,6 milioni di euro; fa peggio in proporzione l’Umbria (molto più piccola e con soli due enti camerali: Perugia e Terni) che chiude i bilanci di due anni fa a -2,8 milioni di euro; per la Toscana il risultato è di 3,3 milioni di euro di passivo, mentre chiudono in sostanziale parità le Marche che limitano le perdite a 200mila euro. Anche in Piemonte le Cciaa hanno qualche problema con i bilanci, infatti le entrate sono state pari a 111,5 milioni mentre le uscite sono arrivate a 124,4 (-12,9); la Lombardia, che incassa la quota più elevata tra le regioni (279,5 milioni), “sfora” di 1,4 milioni. Tra le regioni che chiudono in positivo il Veneto è quello che riesce ad accantonare di più: incassa infatti 128,8 milioni e ne spende 127,2, quindi chiude in positivo per 1,8 milioni. Mentre negli altri due casi, la Valle d’Aosta e il Trentino Alto Adige, il saldo è positivo è di circa 300mila euro.
A livello nazionale, l’entrata maggiore arriva dal contributo che tutte le imprese devono versare ogni anno, il diritto camerale (1,178 miliardi di euro), mentre le spese sono equamente divise tra costi del personale (370 milioni), funzionamento (378 milioni), interventi economici (436 milioni) e ammortamenti (447 milioni). Per quanto riguarda Viterbo? “L’80% dei nostri introiti – conclude Monzillo – deriva dai versamenti per i diritti annuali, dai diritti di segreteria e da attività commerciali (con riferimento, per esempio, all’attività dell’ufficio metrico); si arriva al 95% con la vendita di altri servizi; quel poco che resta deriva da fondi provenienti da altro tipo di finanziamenti. Da segnalare ancora che il nostro patrimonio immobiliare è di notevole consistenza, valutato a bilancio per circa 4,5 milioni di euro con una stima, peraltro, abbastanza prudenziale”. Insomma non c’è da preoccuparsi? “Assolutamente no perché continuiamo a fare del nostro meglio per fornire alle imprese ciò di cui hanno bisogno. Con la professionalità, l’impegno, la competenza e la passione di sempre”.