Galeotto fu Tonino. Che quel giorno per parare i tori usciti dal recinto esclamò: “Il Comune non è un bancomat”. La suddetta frase lì per lì funzionò pure. Ma poi, nel giro di poco, gli si ritorse contro. E così sempre sarà, a vederla oggi. Tipo un mantra fricchettone.
Comunque. Il Tonino in questione altri non è che Delli Iaconi. L’assessore che subentrò a Giacomino Barelli sulla scomoda poltrona della Cultura. E che si ritrovò una schiera di associazioni pronte a scannarlo. Queste ultime avevano accumulato (presunti) crediti nei confronti del Comune. Crediti però promessi a voce (narra la leggenda) e quindi, visti al rovescio, debiti… Mai estinti. Né con Barelli, appunto. E né con Tonino (più bancomat).
Questa è la storia. Che vale sempre la pena di ribadire. Perché in un modo o nell’altro l’amministrazione Michelini verrà ricordata come quella capace di interrompere i cosiddetti finanziamenti a pioggia. E si sa, quando piove piove un po’ dove cacchio gli pare.
Comunque. Tralasciando il suddetto episodio, e per arrivare al quotidiano, le cose procedettero nell’immobilità tipica che contraddistingue la città di Viterbo. Poche iniziative. Discutibili. E tante polemiche. Sterili e non.
In questo tritacarne nazional-popolar-inculturale, l’unica vera fucina di turismo (perché è questo che chiede il Comune come contropartita al contributo) è stata per anni il Tuscia in jazz. Il festival di Italo Leali. Quello che portava nel capoluogo centinaia di corsisti da tutto il mondo. Riempiendo alberghi (per dire, Caffeina non lo ha mai fatto), riempiendo ristoranti, riempiendo macchinette fotografiche al ritorno in patria.
Bene. Col medesimo giochino di cui sopra, e su queste colonne ne abbiamo parlato per primi e molto a lungo, sempre Tonino è riuscito pure a segare il Tuscia in jazz. Prima dicendo che se ne andava da Viterbo perché “agli Almadiani c’è una mostra: quindi, dove li facciamo suonare?”. Poi, quando il direttore Leali ha chiarito che la fuga era motivata da 14mila euro promessi e mai percepiti, il silenzio. Delli Iaconi non ci ha più risposto. E mai più risponderemo noi, qualora ci ripensasse.
Il sindaco Leonardo “pompiere” Michelini però sì. Lui (british style) lo ha fatto. “Chiamerò Italo – disse al Post – Vorrei chiarire e recuperarlo”. Questo in primavera, per precisare. E il telefono di Leali, siamo a luglio, non ha mai squillato. Forse Leo ha salvato un numero sbagliato.
E ora, cosa succede? Succede che il Tuscia in jazz si è trasferito a Castiglione in Teverina (è andato benissimo per Pasqua). Che continua a dirigere il festival di La Spezia (duemila e più persone nei primi giorni, decine di articoli su riviste specializzate). Che a breve migrerà a Bagnoregio. Dove la “notte bianca” ha già 200 prenotazioni e dove il programma posto in rete vanta 500mila visualizzazioni.
E di Viterbo, cosa rimane? Nulla. Anzi, no. Una campagna. Che parte con due “cancelletti”: #sostienitusciainjazz e #nonsiamoilbancomatdelcomunediviterbo.
“Lanciamo un crowdfunding – spiega Leali – lo scopo è di recuperare il debito. Soldi promessi in conferenza stampa dall’assessore e dall’amministrazione e mai concessi. Da ieri sera sui luoghi dei concerti del festival, e online sul link http://www.ciaotickets.com/abbonamento/abbonamento-19-eventi-tuscia-jazz-luglio-2016 sarà possibile sostenerci con l’acquisto di un abbonamento che a 50 euro permette l’ingresso a tutti i concerti, dal 7 al 31 luglio 2016 a Castiglione in Teverina e Bagnoregio”. Quello di stasera compreso, perciò.
Uno schiaffo di una signorilità assoluta, per farla breve. “E’ stato difficile riuscire a realizzare di nuovo il festival, a causa dei mancati pagamenti – ancora Leali – grazie però alle amministrazioni di Castiglione e di Bagnoregio e ai numerosi allievi che anche quest’anno parteciperanno ce l’abbiamo fatta”.
Non è elemosina. E non è nemmeno spocchia. È solo una figuraccia, e a farla non è certo il Tuscia in jazz.