23112024Headline:

Referendum, perché voto sì alla riforma

Mazzoli (Pd): "Non è perfetta, ma non tocca i principi fondamentali"

L'intervento dell'onorevole Mazzoli a Orte durante l'incontro organizzato da Anpi

L’intervento dell’onorevole Mazzoli a Orte durante l’incontro organizzato da Anpi

Dico sì alla riforma costituzionale perché l’Italia ne ha bisogno. Non è la riforma perfetta, certo. In ogni cambiamento di questa portata serve sempre un compromesso ma se verrà approvata avremo le condizioni per affrontare meglio il futuro. La riforma costituzionale è l’ultima tappa di un dibattito parlamentare in corso da tre decenni. Anche i sostenitori del no condividono che la seconda parte della Carta va cambiata. Quello che non si modifica è la natura e il profilo di questo Paese, che viene invece dotato degli strumenti adatti a produrre risposte più efficaci alle domande dei cittadini. Così Alessandro Mazzoli, deputato del Partito democratico, ieri al dibattito organizzato dall’Anpi di Orte in Comune, presieduta da Massimo Recchioni, alla presenza del professor Mauro Volpi, costituzionalista e membro del comitato per il no. A portare il suo saluto anche il sindaco Angelo Giuliani.

L’ iniziativa di Orte (organizzata dall’Anpi, presieduta da Massimo Recchioni, alla presenza del professor Mauro Volpi, costituzionalista e membro del comitato per il no, e del sindaco Angelo Giuliani) è positiva perché quello che serva al Paese è una discussione profonda per consentire a tutti i cittadini di esprimere la propria opinione con il referendum del prossimo ottobre. Proprio in considerazione della storia che abbiamo alle spalle e della costruzione della Carta, non possiamo eludere i problemi trovati strada facendo: penso alla crisi democratica, al rapporto tra cittadini e politica e tra cittadini e istituzioni democratiche. Da tempo, infatti, si è aperta la discussione su come si interviene sulla seconda parte della Costituzione.

Sono tre le questioni per le quali una riforma della Carta non è più rinviabile. Il primo nodo riguarda i processi di globalizzazione dell’economia che hanno indebolito e messo in discussione gli Stati nazionali, resi incapaci di intervenire oltre un certo limite per affrontare i nuovi fenomeni. L’irrompere sulla scena economica della turbo finanza ha modificato il rapporto tra gli Stati e tra le istituzioni democratiche e il mondo economico, con i primi ridotti a un ruolo subalterno.

Il secondo punto per Mazzoli concerne il processo di unificazione europeo anche in relazione ai fenomeni globali. Un processo che subisce una accelerazione perché nessuno Stato da solo riesce a intervenire in questa nuova dimensione e serve una sovranità sovra-statuale. L’Europa da questo punto di vista è stata una conquista. A oggi, ciascun Paese membro per il 40% della propria attività normativa recepisce normative europee e la percentuale tende a crescere. Infine, c’è la perdita di credibilità del sistema politico italiano sia per la sua ridondanza e pesantezza ma anche per la sua incapacità di riformare se stesso, creando un sistema politico e istituzionale più efficiente.

Il dibatto sulla riforma nasce nei decenni scorsi. I principali tentativi di modifica sono: nel 1983-84 la commissione Bozzi; nel 1992-93 la commissione De Mita-Iotti; nel 1997-98 la commissione bicamerale presieduta da D’Alema; la riforma del titolo V approvato dal solo centrosinistra all’inizio del 2001; nel 2005 la proposta della maggioranza Berlusconi-Bossi, la cosiddetta devolution, poi bocciata dal referendum popolare.

La discussione non nasce di recente, così come l’esigenza del superamento del bicameralismo perfetto. Necessità, questa, che nasce non solo per ragioni numeriche ma anche perché se guardiamo al panorama europeo siamo l’unico Paese ad avere il bicameralismo perfetto che ha prodotto minore efficienza e crescita a dismisura della decretazione d’urgenza.

Un altro momento dell'incontro di Orte

Un altro momento dell’incontro di Orte

Con la riforma, viene introdotto il superamento del bicameralismo perfetto; non c’è più il Senato come conosciuto sinora, ma una Camera di rappresentanza di Regioni e Comuni composta da 95 senatori (74 consiglieri regionali e 21 sindaci) oltre a  5 nominati dal presidente della Repubblica per sette anni. La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi da cui sono stati eletti, è quindi un organo continuo che si rinnova. Viene meno l’indennità parlamentare e il Senato è chiamato a rappresentare le istituzioni territoriali, a fare da raccordo tra Stato e gli altri organismi, e concorre in alcune materie alla legislazione. Il nuovo Senato parteciperà all’elezione del presidente della Repubblico, a quella dei giudici della Corte Costituzionale e del Consiglio Superiore della Magistratura. Solo la Camera dei deputati rappresenta la nazione e vota la fiducia al presidente del Consiglio.

Quella italiana resta una Repubblica parlamentare che perde il bicameralismo perfetto. Sono stati anche corretti gli istituti di democrazia diretta. Rimane la soglia delle 500mila firme per presentare un quesito referendario. Ma se i promotori riescono a raccogliere più di 800 mila sottoscrizioni si abbassa il quorum che non è più calcolato sugli aventi diritto, ma sul numero dei votanti dell’ultima tornata elettorale. Per renderlo valido basterà la metà di questi ultimi. Per le leggi di iniziativa popolare, si passa da 50mila a 150mila firme con tempi e forme della deliberazione conclusiva garantita dai regolamenti parlamentari. Cambiano le modalità di elezione del presidente della Repubblica: con la trasformazione del Senato in “Senato delle autonomie”, spariscono i “grandi elettori”. Nei primi tre scrutini l’elezione avverrà come ora, solo con maggioranza dei due terzi dell’aula. Dal quarto scrutinio la maggioranza richiesta passa ai tre quinti, mentre solo dopo l’ottavo scrutinio si procederà a maggioranza assoluta. Non cambiano i poteri del presidente del Consiglio e sono introdotti i disegni di legge prioritari: si tratta della facoltà del governo di chiedere al Parlamento di accelerare i tempi di conversione entro 70 giorni dall’approvazione del disegno di legge. Alla Corte Costituzionale, poi, viene attribuito un compito in più: la facoltà di esprimersi in via preventiva sulla legittimità costituzionale delle leggi elettorali. Vengono soppressi il Cnel e le Province che diventano aree vaste, ovvero strutture di servizio a supporto dei Comuni. Viene rivisitato anche il Titolo V: viene meno la legislazione concorrente e permane la potestà legislativa regionale residuale per tutte le materie di non esclusiva competenza dello Stato.

Siamo di fronte a interventi sulla seconda parte della Costituzione, non viene meno il progetto di società creato dalla nostra Carta: si ridiscutono gli strumenti per realizzarlo. Per raggiungere gli obiettivi della Carta, servono strumenti adeguati e nuovi. La Costituzione è di tutti, ecco perché è giusto parlarne e non sono corrette le personalizzazioni. Occorre discutere, affrontare nel merito le diverse opzioni. Questo percorso è stato avviato con un coinvolgimento parlamentare di molte forze, tranne M5S e l’allora Sel (ora Sinistra italiana). Per ragioni che non attengono al percorso di riforma costituzionale, Fi ha tolto il proprio consenso. Ma noi per convinzione abbiamo deciso di completare il percorso e rivolgerci direttamente ai cittadini, fiduciosi che capiranno l’importanza di votare sì.

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