di Andrea Stefano Marini Balestra
Chi scrive ebbe nel marzo 1987, tornando da Giannutri con un Cessna 172, fu costretto atterrare sul campo di Tarquinia perchè impossibilitato proseguire per Roma Urbe, rotta VFR standard, causa un’improvvisa nevicata. Atterraggio regolare tra un sasso ed un altro, poi, rientro a Roma in Taxi insieme a mia moglie ed un amico. Il giorno successivo con un altro Cessna ed un socio dell’AeC di Roma, feci scalo a Tarquinia per riportare alla base il Cessna 172. Qui, dopo aver allontanato un gregge di pecore, fu possibile ai due velivoli tornare a Roma Urbe.
Cosi conobbi lo storico campo di volo di Tarquinia, successivamente anche più volte praticato partendo da Viterbo con un motoaliante.
Debbo confermare che il sito aeroportuale è ottimo, quindi corretto pensare ad un riuso per trafico civile minore, ma solo, molto minore.
Praticamente un’aviosuperfice di ottime condizioni per dimensioni e luogo.
Assolutamente un aeroporto che possa prevedere voli commerciali ed uso di aeromobili che necessitino lunghezze di pista maggiori quella disponibile di circa 1200 mt.
Quindi, in pratica, il convegno fatto a Tarquinia alla presenza dell’avv. Di Palma, del Sindaco Giulivi e del parlamentare Rotelli, non ha portato nulla di nuovo e di assolutamente favorevole all’ipotesi di realizzare un nuovo scalo del Lazio. Soltanto il sindaco Giulivi ha detto che un volo da Tarquinia ad Olbia può essere coperto in un’ora, ma non specificando con quale velivolo.
Quando forse denaro pubblico sarà speso per riattivare il campo di Tarquinia, soltanto qualche velivolo del tipo Islander. Twin Otter o Pilatus Porter potrà essere utilizzato per decollare ed atterrare in VFR “quatto quatto” sotto la rotta di discesa (4000 piedi) per piste 16 dell’Aeroporto di Fiumicino, null’altro.
Viterbo, in definitiva resta l’unica valida alternativa per il terzo scalo del Lazio. A Dio piacendo.