Per concessione del prof. Fabio Marco Fabbri e del periodico “L’Opinione” pubblichiamo un suo recente articolo
Viterbo,8.5.24
Uno dei principali ostacoli all’analisi scientifica della guerra, quindi alla sua piena comprensione, è rappresentato dalla pseudo-evidenza del conflitto armato inteso come fatto noto, ma anche nell’illusione che lo scontro bellico dipenda dalla volontà cosciente nel quadro di un neo “illusionismo giuridico”. Quindi, spesso, questi scontati, ma generici bagliori di parziale conoscenza offuscano le realtà che sono determinanti per le “dinamiche belliche”. Infatti, oggi le comunità internazionali filo-ucraine ostentano ancora plateali politiche sanzionatorie contro la Russia come se potessero produrre dei “ferali colpi” ma che, in effetti, non rappresentano altro che sfioramenti. Così, anche se la fonte è ovviamente di parte, quindi da analizzare con osservazione critica, la Kyiv School of Economics, Kse, il 24 aprile ha prodotto uno studio sulle banche internazionali operanti in Russia, dove risulterebbe che questi istituti hanno pagato a Mosca oltre novecentosettanta milioni di dollari di imposte sugli utili del 2023.
A quasi ventisette mesi dall’invasione dell’Ucraina, una ventina di banche internazionali restano saldamente operanti in Russia, con guadagni complessivi, stimati dalla Kse, in oltre tre miliardi e mezzo di dollari nel 2023. Profitti che hanno generato per la Russia quella enorme entrata fiscale che si avvicina al miliardo di dollari. E che costituisce una risorsa importante per il bilancio statale, quindi anche per il finanziamento di un impegno bellico che sta protraendosi oltre le loro più pessimistiche previsioni.
Inoltre, nello studio pubblicato dalla Kyiv School of Economics, risultano colossi bancari come l’austriaca Raiffeisen Bank International, quella maggiormente controllata da parte delle autorità moscovite; le italiane Unicredit e Intesa Sanpaolo, la francese Société Générale, la Citibank statunitense, e altre meno note come l’ungherese Otp Bank. Soprattutto la Raiffeisen Bank international è stata analizzata dalla “Scuola di Economia di Kiev” perché operante da oltre tre decenni non solo in Russia, ma anche in molte delle ex Repubbliche sovietiche. In queste realtà, ma maggiormente in Russia, la Raiffeisen ha creato una rete di banche retail – vendite al dettaglio – talmente penetrante e integrata nei tessuti economici e sociali da essere inserita, dalla Banca centrale russa, come strutturata e sistemica nell’elenco degli istituti operanti nell’ambito bancario. Dal rapporto della Kse, risulta che i risultati finanziari delle attività del gruppo Raiffeisen in Russia hanno prodotto, nel 2023, ricavi per oltre due miliardi e mezzo di euro, con un miliardo e trecentoquaranta milioni di profitti, che risulta corrispondere a quasi il cinquantatré per cento della complessità operativa della Banca.
Ci si può chiedere perché queste banche europee e occidentali, in generale, siano così presenti in Russia nonostante le ripetitive e quasi inutili sanzioni occidentali che dovrebbero impedire i rapporti con Mosca? La risposta è sia semplice che quasi imbarazzante: le banche europee restano perché le aziende europee continuano a commerciare con la Russia. Ricordo che i profitti ottenuti in Russia dalle banche europee non sono di per sé illegali in assenza di un embargo totale nei suoi confronti. E, come sappiamo, solo una parte del commercio tra Russia e Europa è sotto le sanzioni. Inoltre, come scritto in un mio precedente articolo del 22 aprile, le sanzioni commerciali verso la Russia vengono spesso applicate con modalità nebbiose e ambigue. Infatti, l’Unione europea ha applicato le sanzioni solo su alcuni prodotti come componenti strategici, carbone e petrolio, e su aziende russe di proprietà di politici e oligarchi. Le operazioni bancarie europee che potrebbero collocarsi nell’illegalità sono quelle che riguardano il settore bancario al dettaglio; quindi, transazioni commerciali con istituti di credito russi che possono essere effettuate senza necessariamente fornire servizi bancari inquadrati nei “limiti” sanzionatori, ma che lasciano spazi di manovra alle banche internazionali difficilmente controllabili nel quadro dell’applicazione delle sanzioni.
Ciò potrebbe riguardare, ad esempio, i servizi rivolti ai sistemi legati alla guerra, come rapporti con l’esercito o con i militari russi, sia reduci della guerra in Ucraina, sia in azione. Tuttavia, ufficialmente, alcune banche europee si sono adoperate per svincolarsi dal mercato bancario russo; la Société Générale, nel maggio del 2022, in conseguenza all’invasione russa dell’Ucraina e alle relative sanzioni internazionali, ha deciso di lasciare il mercato russo cedendo le sue quote della Rosbank al colosso russo Interros, controllato da Vladimir Potanin, uno degli oligarchi russi più potenti e indiscutibili, che ha enormi interessi in ambito metallurgico, energetico, minerario, ma anche nel settore immobiliare e soprattutto finanziario. Tale operazione, hanno dichiarato i portavoce della Société Générale, ha causato alla banca una perdita di oltre tre miliardi di euro. Così come risulta che l’austriaca Raiffeisen dallo scoppio della guerra in Ucraina stia tentando di allentare i suoi rapporti, ma in queste ambigue articolazioni finanziarie che percorrono corridoi poco noti, e dai tracciati sinuosi, certi atteggiamenti che dovrebbero essere palesi, come l’osservanza delle sanzioni, si infrangono nella realtà del business che è altra questione.
Infatti, a metà aprile il quotidiano britannico Financial Times in un suo articolo ha rivelato di avere intercettato decine di offerte di lavoro pubblicate dalla Raiffeisen in Russia, dove si sottolineavano gli obiettivi di “crescita a doppia cifra dei suoi ricavi”. Ma i referenti della Raiffeisen Bank hanno risposto al Financial Times che gli obiettivi menzionati si riferivano ai tempi ante 24 febbraio 2022, data dell’invasione russa dell’Ucraina. Ma come è evidente, in questa “miscela russa” di business esorbitanti dove le banche europee e occidentali si destreggiano egregiamente, il “rumore dei soldi” è più assordante dei flebili rimproveri delle sanzioni internazionali e dei macabri echi della guerra.