L’Abate Ricciotti ricordato nel 60° anniversario della morte dall’Osservatore Romano
Perché al noto biblista e protagonista dell’ospitalità di perseguitati politici e religiosi durante l’occupazione di Roma non è dedicata dal Campidoglio una via o piazza?
di Giuseppe Brienza
Con un ampio articolo pubblicato il 4 maggio L’Osservatore Romano recupera meritoriamente dalla storia della nazione e della Chiesa italiana la straordinaria figura dell’abate Giuseppe Ricciotti (1890-1964), «noto a tutto il mondo per la sua opera più famosa: “Vita di Gesù Cristo”», pubblicata per la prima volta nel 1941. Questo volume, tradotto in varie lingue e ristampato durante tutto il Novecento in numerosissime edizioni, è definito dal quotidiano “ufficioso” della Santa Sede «una pietra miliare per approfondire la vita del Messia» (Gianluca Giorgio, L’abate Ricciotti e la missione tra gli orrori della guerra e delle persecuzioni, L’Osservatore Romano, 4 maggio 2024, p. 7).
In effetti, a differenza di molti esegeti contemporanei, il religioso romano «non dimenticò mai che la Bibbia, oltre ad essere un documento letterario degno della più alta considerazione dei dotti, era soprattutto il libro della Rivelazione cristiana» (Damiano Fucinese, L’Abate Ricciotti dottore della Bibbia, in Adveniat Regnum. Rivista di Studi Cattolici, anno II, n. 1, Roma gennaio-febbraio 1964, p. 26).
Ricciotti però, aggiunge L’Osservatore Romano, merita di essere ricordato anche per altro. Nel duro periodo della guerra, infatti, «coniugò lo studio con il ministero, facendosi fratello tra i fratelli». Avendo sperimentato direttamente da Cappellano militare le sofferenze del primo conflitto mondiale ed avendo vissuto fra il 1915 e il 1918 «le tristezze della vita di trincea e i pericoli che vi sono legati», durante la Seconda guerra mondiale e periodo dell’occupazione nazista di Roma non mancò di ospitare a suo rischio «nella propria comunità diverse persone, perseguitate per motivi politici e di nascita». Di questa vicenda, rende noto l’articolista, restano numerose testimonianze, in primo luogo la preziosa biografia dell’abate scritta da don Pietro Guglielmi, dalla quale si apprende che «durante la guerra [nella canonica di] San Pietro in Vincoli furono rifugiate molte persone, sia ebrei, sia oppositori politici del regime. Vi fu impegnato in modo particolare Ricciotti, sia per le sue convinzioni, sia per le sue notevoli relazioni: accolse, protesse, nutrì e con lui tutta l’intera comunità (Don Pietro Guglielmi, L’abate Giuseppe Ricciotti. Una vita con la Bibbia e per la Bibbia (1890-1964), Coletti a San Pietro, Roma, 2005, p. 113).
Al periodo della guerra riprese la sua attività di docente, conferenziere e biblista, con le numerose pubblicazioni che attestano la profondità e la vastità della sua ricerca, non da ultimo testimoniata da alcuni contributi apparsi sullo stesso Osservatore Romano.
Conscio della propria missione, l’abate Ricciotti riuscì in definitiva, conclude il quotidiano vaticano, «a coniugare il Vangelo con l’amore allo studio. Si ricorda la puntualità nell’ascoltare le confessioni, e nello svolgere, con particolare premura, il ministero sacerdotale. Uomo di grande cultura fu semplice ed autentico nei rapporti».
In occasione del 60° anniversario della morte, avvenuta a Roma il 22 gennaio 1964, ci si chiede perché a questo insigne studioso oltre che benefattore non possa essere dedicata una via o piazza da parte del Comune della sua amata città.