PROGRAMMA
16.00 Registrazione partecipanti
16.05 Saluti istituzionali Dina Maini / ARSIAL
16.10 Introduzione al progetto Alessandro Infantino / CREA-DC 16.30 Risultati del progetto Enzo Marinelli / CREA-DC 17.00 TAVOLA ROTONDA Partecipanti Gabriele Chilosi / UNITUS Anelio Uccelletti / Coop. Il Chiarone Giuseppe Bianchi / Aries sistemi Roberto Mariotti / ARSIAL Daniele Lolletti / CREA-OFA Moderatore Giuseppe Orefice / Biodistretto MET
18.00 CONCLUSIONI Dina Maini / ARSIAL
riceviamo e pubblichiamo
Viterbo,14.12.23
“Il problema L’elevata specializzazione delle coltivazioni garantisce la standardizzazione del prodotto ma impoverisce il terreno che è alla base della produzione alimentare. Questo impoverimento determina nelle coltivazioni le condizioni ideali per lo sviluppo di malattie che hanno come conseguenza l’utilizzo di sostanze altamente nocive per l’ambiente. Il caso della coltivazione del melone dell’Alto Lazio Nella realtà orticola del Lazio, la produzione del melone interessa una superficie di circa 935 ettari (Fonte ISTAT, 2014) di cui 600 circa si trovano in provincia di Viterbo. La coltivazione del melone in coltura protetta è soggetta a diverse patologie: le fusariosi vascolari, per le quali il mondo della ricerca ha individuato geni resistenti introdotti nelle principali cultivar coltivate. Esiste però una serie di patogeni che provocano il collasso che fino a poco tempo fa venivano controllati dalla fumigazione chimica, pratica che oggi non è più attuabile per l’elevato impatto negativo sull’ambiente. L’unica pratica agricola ammessa che riesce a ridurre le perdite produttive causate dal collasso è l’innesto ma questo porta ad una maggiorazione dei costi di impianto di circa +40% e spesso le piante innestate hanno caratteristiche organolettiche non paragonabili a quelle non innestate. Parallelamente abbiamo l’insorgere di patologie delle parti aeree l’oidio (o mal bianco) che incide sull’efficienza fotosintetica della pianta con conseguenti minori produzioni. EcoDif: ponte tra la ricerca e il campo Nei due anni di sperimentazione EcoDif ha messo a punto le buone pratiche in linea con il Green Deal europeo raccogliendo le sfide poste dalla produzione: risolvere le patologie delle colture oggetto della ricerca (ma estendibili ad altre produzioni con gli opportuni accorgimenti), implementare la qualità del prodotto e a parità di quantità tenere a bada i costi. Le sperimentazioni si sono svolte a Pescia Romana presso l’azienda agricola Silvia Nardi e hanno coinvolto più pratiche, che lavorando in sinergia hanno fatto sì che nell’arco di due anni sia diminuito in maniera sostanziale l’utilizzo di sostanze chimiche tradizionali per la difesa delle patologie tanto della parte aerea quanto delle parti telluriche delle coltivazioni, garantendo un’ottima qualità del prodotto e la tenuta della produzione. Le buone pratiche EcoDif: – ripristino della fertilità dei terreni agricoli mediante l’aumento della sostanza organica dei suoli coltivati, tramite la tecnica dei sovesci di Brassicacee; – utilizzo di sostanze naturali come oli essenziali, per il controllo di patologie della parte aerea; – utilizzo di modelli previsionali con l’aiuto di centraline meteo che favoriscono l’uso razionale di principi attivi per il controllo delle fitopatie.”