Riceviamo e pubblichiamo con la benevolenza del prof.Marco Fabio Fabbri che ci concede un suo recente articolo pubblicato su “L’Opinione”
Viterbo,11.8.23
“Sudan: benvenuti all’inferno
di Fabio Marco Fabbri
L’ordinario colpo di Stato in Niger appare come un evento che mette in fibrillazione il Sahel occidentale. Ma altri tre Stati della regione hanno un Governo golpista ormai tollerato, sia dalle comunità internazionali che dall’Ecowas, la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale. Ovvero il Burkina Faso, il Mali e la sua confinante Guinea (membri dell’Ecowas). Invece la guerra civile che sta frastornando da metà aprile il Sudan, anch’esso affetto dalla “sindrome del golpe”, pare ormai accettata come un normale periodo di transizione e di riequilibrio politico.
Secondo l’Ong Acled e le Nazioni Unite, la guerra civile in Sudan tra l’esercito regolare guidato dal generale Abdel Fattah al-Bourhan, e le Forze di supporto rapido (Rsf) comandate dal generale “Hemetti”, al secolo Mohamed Hamdan Daglo, ha causato più di quattromila morti e quasi quattro milioni di sfollati e rifugiati. Agnès Callamard, segretario generale di Amnesty International, i primi di agosto ha affermato che la popolazione sudanese sta subendo violenze difficilmente descrivibili e che decine di donne e ragazze, quest’ultime molte intorno ai dodici anni, sono state stuprate e sottoposte ad altre forme di violenza sessuale dai combattenti di ambo le parti.
Nessun posto in Sudan è ormai sicuro. Gli attacchi hanno devastato ospedali e chiese (circa il settanta per cento della popolazione è musulmana), e il saccheggio è sistematico. Inoltre, la spirale di violenza sta devastando anche l’area più delicata di questa regione, il Darfur, dove le Rsf e le milizie alleate stanno seminando morte e distruzione. Tale situazione riesuma il fantasma del metodo della “terra bruciata” applicato in un passato ancora non minimamente dimenticato, dove gli attori di questa tragedia sono spesso gli stessi di allora.
Così nel Sudan, semi-dimenticato dalle attenzioni internazionali, si stanno compiendo atrocità difficilmente immaginabili, in un quadro di instabilità globale e agghiacciante. Quest’area sub sahariana è frastornata da continui drammi sociali, che rendono la sofferenza una quotidianità. Inoltre, la ricerca di cibo e acqua è sovente letale per i civili che perdono la vita nella speranza di sopravvivere, ma spesso vengono uccisi anche nelle loro case; altri cadono sotto il fuoco incrociato mentre fuggono, o vengono colpiti da cecchini.
In questo contesto, Amnesty International ha esortato il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a estendere l’attuale embargo sulle armi dal Darfur a tutto il Sudan. In più, ha chiesto che questa sanzione venga fatta rispettare. Ovviamente, è improbabile che il Consiglio di sicurezza possa intervenire sul blocco della vendita di armi in questa regione, anche a causa della forte influenza che ha la Russia pure in questo ambito di mercato. Ricordo che oltre la presenza dei mercenari Wagner inseriti in ruoli strategici sia in molti Stati dell’Ecowas che in altri, il 49 per cento delle armi vendute in Africa sono di fabbricazione russa.
Amnesty International ha anche stilato un recentissimo rapporto sulla “questione” Sudan, dove sottolinea e sigilla sia che le violenze contro la popolazione soprattutto femminile, sia che la distruzione e il saccheggio di strutture di assistenza sanitaria e di sostegno umanitario ricadono nel reato di “Crimini contro l’Umanità”. E quindi si tratta di violazioni dei diritti umani. Nel Darfur occidentale molte persone di etnia masalit sono costrette a sconfinare nel Ciad orientale. Insomma, un esodo incontrollato e disperato nella ricerca di un approdo magari sicuro, ma che spesso si incrocia con la morte.
Vent’anni fa il Darfur è stato teatro di genocidi e crimini di guerra, in particolare da parte delle famigerate milizie arabe Janjawid contro le popolazioni nere. Questo scenario si sta ripetendo? Segnalazioni di uccisioni su larga scala, stupri e distruzioni di villaggi, nel mezzo di una lotta di potere a livello nazionale tra le forze armate regolari e milizie sudanesi, danno una risposta inequivocabile.
Vista la portata dei combattimenti che si svolgono all’interno dei confini sudanesi, ai sensi delle Convenzioni di Ginevra, il fatto è classificato come un conflitto armato non internazionale. Quindi, gli scontri tra le due parti sono disciplinati dal Diritto umanitario internazionale, che ha lo scopo di proteggere i civili e altri non combattenti nei conflitti armati. Infatti, le gravi violazioni di queste regole costituiscono crimini di guerra; la loro trasgressione o inosservanza coinvolge la responsabilità penale individuale dei comandanti e dei loro soldati.
Intanto, oggi lunedì 7 agosto scade l’ultimatum dell’Ecowas che minaccia i golpisti del Niger di un attacco armato per ripristinare l’ordine costituzionale. Allo stesso tempo, faccio presente che su 16 membri dell’Associazione tre sono Nazioni rette da governi golpisti e altri hanno sofferto di guerre civili fino a pochi anni fa, come la Costa d’Avorio. Altri ancora hanno avuto presidenze decennali, con una dittatura mascherata, come il Gambia, dove l’Ecowas intervenne nel 2017. In parole povere: trovare nell’Ecowas uno Stato con un curriculum democratico è quasi impossibile.
Quindi, non scorgo la possibilità che uno Stato governato da un generale golpista possa infierire contro il Niger, anche perché il militare golpista nigerino Abdourahamane Tchiani ha già stretto rapporti con gli omologhi ufficiali golpisti alla guida di Stati associati dell’Ecowas. E mentre questa sceneggiata va in atto, la tragedia dei civili sudanesi prosegue.