di Andrea Stefano Marini Balestra
Viterbo.9.3.23
Sono passati giorni dal naufragio di un’imbarcazione su una spiaggia. Ne abbiamo sentite di tutti i colori. Ho letto e riletto tutto quanto scritto e detto, ma nessuno, ha in pratica riferito che un atterraggio di una barca su una spiaggia è cosa difficile se non impossibile senza far danno. Pertanto, l’esito disgraziato che poi è avvenuto, è solo frutto di impreparazione dello scafista al comando.
Il “capitano” scafista, invece di arrivare furtivamente su una spiaggia, ma avesse scelto per lo sbarco, anche se non un porto, almeno ma ridosso o un sorgitore sulla costa, avrebbe portato a terra il suo “carico” di profughi sano e salvo. Ma, le cose sono state diverse, ma, non per mancata assistenza di chi avrebbe potuto effettuare un salvataggio non richiesto, ma esclusivamente per la condotta in cattiva coscienza di chi dirigeva la barca, conscio compiere un atto illegale. Quindi, da parte del “capitano” e la sua ciurma si è preferito rischiare l’impossibile pur di non essere catturati e processati anche subendo sequestro e confisca dell’imbarcazione.
Per la mia esperienza ultramezzosecolare di diportista nautico, quindi esperto utente di piccole imbarcazioni, posso certamente affermare che l’avvicinamento ad una costa sconosciuta, peraltro di notte, è un azzardo che rende probabile e possibile un naufragio. Infatti, anche in condizioni di mare calmo al largo, sempre, sotto costa esistono serie di onde, che possono essere inaspettativamente presentarsi alte e frangenti anche in calma di vento come conseguenza di una lontana mareggiata in alto mare. E’ il cosiddetto mare di scaduta che crea cavalloni vicino alle rive. Le onde che piacciono ai surfisti, sono invise a chiunque tenti avvicinarsi alla riva con una barca a meno che questa abbia particolare caratteristiche. Non certo un caicco turco, simile al nostrano gozzo, che prevede un importante “opera viva” immersa, è un mezzo capace di cacciarsi d’impaccio in simili condizioni.
Avvicinarsi alla costa in sicurezza con un tale tipo di barca, cioè con un pescaggio importante, è difficile. In avvicinamento verso la spiaggia, il primo cavallone può intraversare la barca, rovesciarla, ed anche, se ciò non avviene, determina uno sbandamento che fa imbarcare acqua, e gettare fuori bordo gli occupanti. In ogni caso, per uno sbarco da qualsiasi imbarcazione. pervenuta in prossimità della battigia, sempre a distanza che ancora consenta il suo galleggiamento, diventa sempre problematico,
Compiere una manovra di avvicinamento a terra di notte, magari in presenza di nascoste secche e scogli sommersi è un’attività che nessun marinaio arrischia !
Nei manuali di navigazione si legge e si insegna: “in mare, per una barca, il maggior pericolo è la terra”. Se si resta al largo, magari si soffre, ma non si corre il rischio di andare in costa.
Ma, per gli scafisti, che di nascosto, senza nemmeno avere a bordo radiotelefono su frequenza navale (il classico VHF su canale di soccorso 16), vanno per mare con il solo ausilio di un telefonino anche spento per non farsi localizzare, tentare un sbarco al volo per presto sbarazzarsi del loro carico, cioè persone, umane, pur di non farsi scoprire, è prassi.
La notte del 26 febbraio e’ andata peggio di quanto si poteva immaginare. Gli scafisti turchi hanno perso la barca, non la vita, perchè si sono salvati su un autogonfiabile, poi, sono finiti in galera (speriamo ci restino per molto) Certamente, anche se l’imbarcazione da loro essi condotta non avesse trovato un scoglio che l’ha disintegrata, anche con uno “sbarco” che prevedeva la discesa in acqua di molti passeggeri, donne e bambini, e di chi non esperto del nuoto, affronta la difficoltà che sempre crea una risacca a pochi metri dalla battigia. Vittime non sarebbero mancate. Ma, per questi scafisti, c’è fretta di far sbarcare, a loro importa presto far rotta di ritorno verso la Turchia per poi ripartire. Della sorte della “merce” sbarcata non interessa nulla. Tanto i passeggeri hanno pagato in anticipo il “biglietto”.
Allora, dare addosso alle autorità italiane, incapaci gestire il salvataggio è pura critica politica, assolutamente priva di basi tecniche.
Da quello che si è potuto conoscere, l’avvistamento da parte di un velivolo FRONTEX riportava alle autorità italiane la presenza di un’imbarcazione che non rilevava criticità di navigazione. Si erano pertanto avvisati i guardia coste italiane, in primis la Guardia di Finanza per un’operazione di polizia marittima al fine di identificare un’imbarcazione di cui era sconosciuta provenienza e destinazione. Un’operazione normale di polizia cui sono soggette tutte le unità in navigazione sconosciute.
Cosa avviene in questi casi, una motovedetta si avvicina, controlla a vista il natante, registra la sua posizione, poi, se non si hanno particolari sospetti di contrabbando ed alti traffici illegali, tanti saluti. Una simile operazione, per es., la compiono i caccia intercettori dell’Aeronautica militare ogni qualvolta si è notato dai radar il volo di un aereo non conosciuto.
Quella notte sarà avvenuto cosi., Quando i finanzieri della velocissima motovedetta capace volare sull’acqua anche a 70 nodi hanno rilevato il caicco turco che navigava regolarmente lontano da terra e fuori dalle acque nazionali, non hanno comunicato nessuna emergenza.
La Capitaneria di porto, ancorchè avvisata della presenza di un’unità nella sua zona, che però non chiede soccorso, esce in mare per un salvataggio su segnalazione di una “distress” conosciuta per radio mediante di una comunicazione “Mayday” (Aiuto) o Pam,pam,pam (urgenza) ” ricevuta dal radiotelefono di un’unità in difficoltà (anche telefono al 1530) o di un’altra che si è avveduta di un sinistro.
Ovviamente, se nessun capitano ha sinistri a bordo o immediate necessità essere assistito, non chiama per soccorso, nessun mezzo di soccorso della Guardia costiera parte. Per es.i Vigili del fuoco, intervengono sono solo richiesta, non vanno in giro in città inutilmente se non ci sono calamità. Altrettanto opera la Guardia costiera
Nella fattispecie, il “capitano” del caicco turco, sino a che si è tenuto al largo, non ha patito alcunchè di negativo per la navigazione, e pertanto risultava procedere regolarmente a modesta velocità per ignota destinazione.
Avvicinandosi a terra, però, era suo dovere, se capiva che le condizioni del mare diventavano poco maneggevoli, chiedere un soccorso e restare in attesa riceverlo, invece di tentare un impossibile sbarco divenuto assassino.
Dare la colpa oggi alle autorità italiane di inerzia per il salvataggio è un insulto al vero. E’ proprio la Capitaneria di porto che ha salvato negli ultimi anni molti più migranti delle ONG, è la Capitaneria di Porto l’ente che ha subito in operazioni di salvataggio tante perdite dei suoi uomini, è la Capitaneria di Porto l’angelo custode dei naviganti. Pensare di ritenerla reticente intervenire perchè si trattava salvare un barca di migranti è un’offesa che non si può ammettere.
Quello che è successo Cutro è solo ed esclusivamente colpa e responsabilità degli scafisti che, portando in condizioni inumane e tecnicamente impossibili intere famiglie di richiedenti asilo fuggitive da zone di guerra, ne provocano la morte. Non altri.