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L’Italia rientra in Libia dalla porta principale

La teoria Mattei riparte dopo mezzo secolo

Redazione

Viterbo,3.2.23

Dall’amico prof. Fabbri siamo autorizzati pubblicare un suo articolo su “L’Opinione” che estendiamo ai nostri lettori.

Fabio Marco Fabbri31 gennaio 2023

A pochi mesi dall’arrivo del centrodestra alla guida del Governo italiano, giunge un primo segnale di cambiamento – atteso da troppo tempo – anche in politica estera. È già evidente, ma non vi erano dubbi, che “uno non vale uno”. Tanto che, leggendo la maggior parte dei quotidiani internazionali, la percezione del nuovo percorso già suscita interessi in quegli ambiti che, fino a pochi giorni fa, sembravano ostili.

L’Italia, rientrata nei ranghi dignitosi di una politica estera non guidata da improvvisati, ha siglato delle intese che pure la stampa internazionale definisce “storiche”. Non a caso, il Belpaese e la Libia hanno raggiunto “importanti accordi” sulla fornitura di gas e sull’immigrazione, due fattori di strategica importanza sia per l’impatto sull’economia, sia per l’influenza sulla società. Infatti, anche secondo fonti libiche, il settore energetico non vedeva investimenti di questo “calibro” da più di un quarto di secolo. L’incontro di Tripoli tra Giorgia Meloni, Abdul Hamid Dbeibah, capo del Governo di unità nazionale libico e Mohammed Yunis Ahmed Al-Menfi, “numero uno” del Consiglio presidenziale della Libia, è parte di un programma del nostro Esecutivo finalizzato a fare del Paese l’attore principale del Piano energetico europeo, con la prospettiva di configurarsi come capitale europea dell’energia in memoria del “Piano Mattei”.

Claudio Descalzi, amministratore delegato dell’Eni e il suo omologo libico, Farhat Bengdara, dirigente della compagnia petrolifera libica NocNational oil corporation – hanno sottoscritto un accordo per avviare un progetto energetico strategico diretto a incrementare la produzione di gas sia per il fabbisogno libico che per aumentare le esportazioni verso l’Europa: un terzo della capacità complessiva sarà esportato in Italia. Tale piano è denominato “A&E” e, ovviamente, prevede un importante sviluppo delle strutture necessarie per raggiungere l’obiettivo. Ricordo che l’Eni dal 1959 è presente in Libia dove, nonostante le enormi difficoltà affrontate dopo l’infausta deposizione di Muammar Gheddafi, avvenuta nel 2011, con il suo 80 per cento di produzione di gas è il primo operatore dello Stato nordafricano.

È stato reso noto che l’importo dell’investimento sarà di almeno 8 miliardi di dollari, il più ingente realizzato dall’Eni negli ultimi 25 anni. Il progetto di produzione di gas prevede una durata di venticinque anni e inizierà nel 2026, con una stima di estrazione, confermata da Farhat Bengdara sul canale televisivo locale Al-Masar, di circa 850 milioni di metri cubi al giorno. In più, interesserà due ricchi giacimenti offshore situati al largo della costa tripolina, le cui riserve sono calcolate in sei trilioni di piedi cubi. Sulla linea strategica di una decarbonizzazione dell’Unione europea, il progetto A&E prevede anche la costruzione di un impianto di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica, che ridurrà l’impatto complessivo di carbonio. Tuttavia, questo strategico accordo si inserisce in un contesto socio-politico complesso. Infatti, dopo dodici anni dalla deposizione di Gheddafi, il Paese nordafricano resta frazionato tra rivalità interne che vedono la Cirenaica, controllata dal maresciallo Khalifa Haftar, in condizioni di sicurezza e con una relativa stabilità regionale mentre la Tripolitania, riconosciuta dall’Onu, è sotto una evidente ingerenza straniera, considerando la regione del Fezzan sociologicamente costruita su una base di oltre cento tribù e vari gruppi etnici. Da quasi un anno i governi di Tripoli e di Bengasi si contendono il potere ma, come ho scritto in varie occasioni, ritengo che al momento, per una serie di riconoscimenti sia interni alla regione del Fezzan che da parte di gruppi trasversali, solo Haftar – ex uomo Cia – possa avere quel profilo confacente a ricoprire il ruolo di leader nazionale.

Segnalo che la Libia – dietro a Nigeria, Algeria, Mozambico ed Egitto – è lo Stato africano con più riserve di gas. Dal 2004, il gasdotto Greenstream, lungo 520 chilometri, collega il Paese nordafricano all’Italia, in particolare Mellitah a Gela, in Sicilia. In più, penso che l’operato del Governo italiano in Libia possa andare oltre lo strategico programma di approvvigionamento di gas, che resta comunque fondamentale per attenuare, se non estinguere, la penuria di questo combustibile causata dalla crisi nello scacchiere russo-ucraino. Infatti, un “sano” riavvicinamento italo-libico garantirebbe una maggiore autonomia a uno Stato dilaniato dalle pressioni esterne, come quella turca e di molte nazioni europee, Francia in testa.

Pertanto, si tratta di un appoggio italiano alla stabilità libica che, unito all’eccellente rapporto aperto con l’Algeria e al prossimo “passo” verso la Tunisia, proietterebbe il nostro Paese in quel ruolo strategico sul Mediterraneo che gli compete e che è in condizione di avere, ridisegnando l’assetto geopolitico dell’area. Ma tale esposizione positiva non sarà facilmente accettata da quelle potenze che, dall’instabilità libica, hanno tratto vantaggi superiori allo sviluppo di un progetto energetico.

Ultima nota: l’approccio di Meloni con i leader arabi ha denotato, oltre che il giusto riconoscimento politico, anche quello del “rispetto” di genere che, in questi ambiti, non è scontato.

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