di Andrea Stefano Marini Balestra
Viterbo, 1.11.22
Mentre favorevolmente apprendiamo che il Governo, sin dal suo primo Consiglio dei Ministri ha anteposto ai problemi economici quello della Giustizia, vogliamo osservare il perchè e per come il “sistema giustizia” in Italia è inceppato, quindi debba essere risolta con urgenza ogni relativa problematica.
Secondo la “vulgata” di sempre, si ritiene che l’intoppo dei processi sia civili che penali dipenda da carattere degli italiani, rappresentati come causidici, quindi pronti a “fare causa” anche per nonnulla con il beneplacito, anche interessato dalla classe forense (ci perdoni !).
E’ vero ! In ogni occasione di contrasto tutti noi ricerchiamo il nostro “giudice a Berlino”, trascurando di approfondire con calma il perchè sia nata una controversia e come possa risolversi fuori dalle aule di Tribunale. Un’ipotesi di “necessità” di ricorrere al Giudice, però deriva dalla confusione normativa e giurisprudenziali in varie materie che difficoltizza una razionale pratica dell’osservanza delle leggi che si sovrappongono a getto continuo (vedansi leggi fiscali !)
Certamente, un uso di maggior buon senso, eviterebbe lunghi e costosi processi civili. Però, va pur detto, che un processo civile, la cui verità va ricercata in ogni dove, può anche durare a lungo proprio per volontà delle parti, che nel tempo possono risolvere, anche inaspetattamente, ogni loro motivo di contrasto. Il Giudice civile, quindi, dirige il processo, non lo impone, Questo principio, però, è stato di recente intaccato mediante interventi di nuove norme strozzative che impone al Giudice di superare le richieste delle parti, peraltro sempre più obbligate al rispetto di termini sempre più ridotti.
E’ vero che un processo civile sia spesso troppo “lungo” ma la causa della lunghezza non è “colpa” delle parti, ma della deficienza di strutture. In primis la carenza di giudici., di personale di cancelleria, di aule addirittura.
Quando da praticante misi piede la prima volta in Tribunale nel 1969 (era quello di Roma al “Palazzaccio”) i rinvii delle cause civili difficilmente superavano un paio di mesi da un’udienza ad un’altra. Ormai, anche a Viterbo accade, il tempo tra le udienze sia di un anno. E’ urgente quindi una riforma delle piante organiche dei magistrati e dei funzionari di cancelleria altrimenti non sarà possibile “sveltire” alcun processo civile.
Le riforme a suo tempo varate non hanno funzionato perchè frutto di legislazione di emergenza, del tutto inorganiche ed inserite nel codice di procedura senza spesso collegamento logico con il testo originario.
Il Governo ha deciso detto che farà scivolare la “riforma Cartabia” del penale, sino al prossimo 30. dicembre, ma un analogo stop bene sarebbe farlo anche per la “riforma” del civile. Andare a riordinare la materia del codice di procedura civile prima della prossima entrata in vigore, quindi prevedere un periodo transitorio, sarebbe cosa buona e giusta.
Nel penale, non ci voleva molto a capire che le passate novelle legislative in materia sarebbero state oggetto di confronto e di giudizio della Corte costituzionale. Il decreto di ieri, blocca la premialità carceraria per i condannati per reati di mafia e di reati odiosi e di grave allarme sociale. Un ottimo segno in nome della legalità e del corretto esercizio di certezza del diritto.
Il Governo, poi, se vorrà, come in effetti, ha promesso, dovrà intervenire sulla qualità dei processi, cioè, evitare che ve ne siano di “futili” che altrettanto di uno “serio” costano all’erario ed ai tempi della giustizia un’enormità. Va ricordato che già due terzi delle notizie di reato per cui le Procure hanno aperto un fascicolo (quindi un costo) non vanno a processo, ed anche che circa la metà dei processi penali nel loro complesso finisce con un’assoluzione dell’imputato.
Citiamo, fonte Il Sole 24 ore, quanto espresso recentemente da S.E. Pietro Curzio presidente della Corte di Cassazione che ha sottolineato nei procedimenti che vanno a dibattimento, è alta la percentuale di assoluzioni, soprattutto, per «i reati più diffusi e che di regola toccano più da vicino il cittadino». Questi vengono in gran parte definiti con la citazione diretta a giudizio, che interessa i reati “minori”, puniti con la reclusione fino a quattro anni, e viene disposta dal Pm, senza passare dal vaglio del giudice (la riforma Cartabia punta a cambiare la situazione, ampliando l’applicazione e inserendo un’udienza predibattimentale). Nell’ultimo anno giudiziario, il 54,8% dei processi definiti nel giudizio ordinario (nella stragrande maggioranza dei casi introdotti con citazione diretta) si è concluso con un’assoluzione. Ancor più elevata la quota di assoluzioni – il 68,7% – che riguarda i giudizi di opposizione a decreto penale di condanna (utilizzabile se la pena è solo pecuniaria). Dati che, scrive Curzio, «dovrebbero indurre una più ampia riflessione sull’efficienza del sistema di definizione delle cause “minori” che attualmente fa leva sulla citazione diretta a giudizio e sul decreto penale di condanna».
Ciò sta a dimostrare che circa la metà dei processi penali sono futili, cioè inutilmente indicate dai privati e dalle forze dell’ordine alcune condotte ritenute reato, ancor più inutilmente perseguite dalle procure che, dopo aver fatto spendere denaro pubblico per indagini, vedono la loro accusa cadere nel vuoto ad esito del giudizio.
Allora, senza giungere al ridicolo di di una proposta di riforma di punibilità del reato di furto (principe dei reati predatori), che dovrebbe diventare non più perseguibile d’ufficio, ma solo a querela, andrà semplicemente praticata per provvedimento di legge una norma una che impedisca la formazione di fascicoli penali per questioni bagatellari (oggi in maggioranza), quindi giudicare subito da parte dei PM quando una denuncia o una querela sia solo per risolvere questioni personali e tentativi di “bancomat” dall’esito del positivo processo.
Certo, un’eccezione all’obbligatorietà dell’azione penale non potrebbe esserci quando l’inquirente si rende che debba procedere per un fatto la cui denuncia o querela per un reato qualsiasi sia stata introdotta per fatti bagatellari o per “facilitare” questioni prettamente di carattere civilistico, al fine, per es. per ottenere risarcimento danni in sede penale in tempi inferiori.
Non c’è bisogno di riforme stellari per evitare un infarto della giustizia.
Solo saper indicare per legge quali processi sia da mandare avanti con celerità, quindi quelli “seri” che devono giudicare gravi condotte di allarme sociale e vero danno non solo ad una parte, ma alla collettività, non è rinuncia all’obbligatorietà dell’ azione penale, quindi violazione del principio di uguaglianza (art.3 Cost. ), ma pratica di buon senso
I processi “futili” non devono esserci e se ci sono, possono aspettare.