Da IL GIORNALE (13.9.22)
commento di Pierluigi del Viscovo
Sbloccare le installazioni di impianti
di energia rinnovabile significa
violentare la burocrazia, non il paesaggio.
Il ministro Cingolani lamenta come
molte di queste siano bloccate dalle
sovraintendenze: «C’è una quantità
enorme di potenza energetica di impianti
nuovi ferma perché ci sono le sovraintendenze
che bloccano l’autorizzazione
per una questione paesaggistica». Il primo
impulso è quello di mettere a contrasto
i due valori, quello paesaggistico e
quello energetico e anche il ministro vi
inciampa: «Io capisco l’importanza del
paesaggio, trovo stucchevole dire che il
paesaggio va in Costituzione, siamo in
emergenza. Bisogna capire quale è la
priorità». Tuttavia, forse è il caso di usare
una chiave di lettura diversa, ossia
capire cosa si celi dietro tali «blocchi».
La burocrazia italiana non è nota per
la sua rapidità. Così negli anni scorsi il
legislatore si è occupato delle procedure
per le autorizzazioni paesaggistiche. Intanto,
molti interventi di piccolo cabotaggio
sono stati esclusi dall’autorizzazione,
mentre altri sono stati sottoposti
a procedura semplificata. Per gli altri, a
procedura ordinaria, ciò che risalta è la
durata piuttosto breve dei termini entro
cui la soprintendenza e/o l’amministrazione
competente devono pronunciarsi:
da 45 a 90 giorni, con possibilità di
ulteriori 20. Alla presentazione della domanda
da parte del richiedente, l’amministrazione
competente svolge le verifiche
e gli accertamenti necessari, anche
acquisendo il parere della commissione
locale per la qualità architettonica e il
paesaggio. Poi trasmette la proposta di
autorizzazione, unitamente agli elaborati
tecnici, alla soprintendenza che fa le
sue verifiche e nel caso richiede integrazioni
– ma qui i termini si sospendono! –
prima di emettere il parere di competenza
entro 45 giorni, decorsi i quali viene
indetta una conferenza dei servizi con
ulteriori 15 giorni.
Senza soffermarsi su aspetti tecnici e
procedurali e valutando solo l’iter da un
ufficio all’altro e i soggetti coinvolti, paiono
tempi davvero stretti, qualche mese
al massimo. Non tantissimo per l’installazione
di un impianto eolico o anche
fotovoltaico. La domanda che sorge è se
non siano «troppo» stretti, al punto da
indurre le soprintendenze ad un atteggiamento
difensivo: nel dubbio, negare,
avendo come faro solo la propria missione
paesaggistica. Però la soluzione non
può essere il braccio di ferro paesaggio
contro energia. Un territorio deve proteggere
il suo paesaggio e anche generare
energia rinnovabile. È una bilancia,
se pende troppo da una parte c’è qualcosa
che non va. Serve un punto di sintesi
superiore che decida di volta in volta
cosa privilegiare, nel merito e non solo
in base alla documentazione formale.
Questo porta al vero nodo del problema:
c’è paesaggio e paesaggio. Pure nel
Bel Paese, una collina brulla dell’Appennino
non è uguale alle Cime di Lavaredo,
come una costa anonima non dà le
stesse emozioni dei Faraglioni. L’accettazione
delle diversità conduce dritto alla
valutazione di merito. Infine, l’idea
che il paesaggio non debba mai recare
l’impronta umana va abbandonata. Noi
esistiamo su questo pianeta con dignità
piena. Certo, ci sono impronte brutte e
impronte belle. Via Krupp a Capri o Castel
Sant’Angelo sul Tevere sono impronte
bellissime, mentre non lo sarebbe
al loro posto un palazzone anonimo.
Non è «dove» lasciamo le impronte, ma
«come”