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Il prof. Francesco Mattioli ci scrive ed osserva

Viene un insegnamento per tutti dalle sue osservazioni

Redazione

 

Viterbo,18.9.22 – E’ un onore per questo Giornale avere l’attenta lettura del Prof. Francesco Mattioli, professore di sociologia di cui vanto amicizia da lunga data.   La nostra diversa collocazione politica non ci divide, anzi, ci stimola per reciprocamente  approfondire le nostre tesi che pensiamo siano anche da condividere a quanti abbiano occasione leggerci. Un mio articolo pubblicato giorni fa  l’ha portato osservare quanto segue.

Ecco quanto ci ha scritto:

“Caro Direttore,

la nostra vecchia amicizia e l’ironia che non ci abbandona, mi consente di esprimere alcune notazioni sul tuo articolo sull’antifascismo della sinistra.

Termine abusato, quello di fascismo; e quindi anche il suo contraltare, l’antifascismo.  Ricordo ancora che, giovane docente alla Sapienza nei primi anni ’80, alcuni burbanzosi studenti “di sinistra” mi contestarono perché avevo introdotto delle regole – puramente sostantive, niente di formale (in fin dei conti ero pur sempre un figlio del sessantotto-  per chiedere la tesi di laurea, dandomi infine del fascista.

Semplificando. Fascismo e comunismo hanno in comune la vocazione all’assolutismo; il primo, flirtando abbondantemente con l’aristocrazia più reazionaria, il secondo con i teorici del pensiero unico. Ambedue hanno fatto proseliti presso i ceti meno scolarizzati, più marginalizzati e più bisognosi di aggrapparsi ad un’immediata àncora di salvataggio in periodo di crisi. Presso costoro le parole d’ordine funzionano a meraviglia. Il fascismo nasce dalla delusione di Versailles e dalla crisi economica post bellica che colpì i ceti più esposti, il comunismo dallo sfruttamento sistematico, e miope, del proletariato da parte dell’industria.

Come ho scritto in altra sede, ha ragione Galli Della Loggia quando osserva che oggi, e segnatamente in Italia, nessun estremismo è concesso: al di là delle etichette, qualsiasi governo di qualsiasi colore dovrà fare i conti con l’economia internazionale e con le appartenenze sovranazionali, che inducono a strategie continentali sostanzialmente omogenee. E sempre meno con le proprie ideologie.

Ci sono oggi i nostalgici del fascismo, che si ingegnano magari a cogliere con le pinzette quegli aspetti del regime che tutto sommato a loro avviso sembravano funzionare e che si potrebbero riproporre per “fare ordine” oggi. E c’è anche un “politicamene corretto”, per lo più di sinistra (anzi, di estrema sinistra),  che, nato con le migliori intenzioni, si manifesta talvolta in modo ridicolo, mettendo i baffi alla bisbetica domata o i capelli biondi a Otello, crocifiggendo Cristoforo Colombo e perfino l’antifascista Churchill. E alcuni a sinistra hanno perpetuato il tragico errore di considerare le vittime delle foibe gente che se la era andata a cercare.

Nessuno di costoro, per fortuna, sembrerebbe in grado di godere del favore della maggioranza degli italiani. Altro è essere efficienti e altro è essere decisionisti totalitari; altro è essere pronti ad esprimere rispetto per la diversità e altro è smontare la storia, la cultura e la pietas umana.

Ma non siamo in un mondo dove tutte le vacche sono nere, per dirla con Hegel. I distinguo si possono fare.

Che lo si voglia chiamare fascista per comodità semantica e ideologica o meno, un orientamento estremamente pericoloso è quello delle oligarchie conservatrici e nazionaliste: per intenderci, quelle della Russia di Putin, dell’Ungheria di Orban, del Brasile di Bolsonaro. Lasciamo stare quel che accade in Cina o in Corea del Nord, o in Myanmar, o negli stati a governo islamico; ma restiamo a paesi in cui, apparentemente, varrebbe la regola del pluralismo democratico.   E’ evidentissimo come in questi paesi le libertà fondamentali siano in pericolo; quelle della libertà di pensiero, di associazione, di contestazione. Difficile dimenticarsi degli oppositori di Putin “eliminati” e della gestione truculenta del dissidio con l’Ucraina; delle proposte del governo ungherese di limitare il lavoro femminile e di mettere fuori legge l’omosessualità; del patto di Bolsonaro con l’industria del legno e i produttori di frutta esotica per distruggere mezza foresta amazzonica, indigeni compresi.  Non sarà fascismo in senso letterale; ma certe scelte sembrano quelle di una sorta di fascismo 2.0 da terzo millennio. E quel che importa, al di là delle comode etichette, è che questi governanti trovano estimatori soprattutto nella destra italiana. In modo talvolta evidente ed esplicito, almeno agli occhi disincantati di chi cerca di leggere la politica e la società italiana al di là dei mimi televisivi e delle frasi ad effetto della propaganda  elettorale.

Non nego, peraltro, che strategie del genere appartengano ad ogni partito; perché appartengono a ciascuno di noi.  C’è un fenomeno psicosociologico – si chiama confirmation bias – che descrive come noi selezioniamo e diamo valore alla realtà secondo criteri precostituiti in grado di sostenere e giustificare le nostre scelte e i nostri punti di vista.  Quindi, sia a destra che a sinistra si verifica sempre una polarizzazione delle proprie opinioni; ne va della nostra identità e delle nostre certezze in un mondo che, come ha scritto Bauman, soprattuto oggi produce complessità e incertezza.”

Giorni fa avera scritto:

“Caro Direttore,

nel tuo articolo tu dici che certe paure su un fascismo di ritorno sono ridicole, perché c’è la nostra bellissima Costituzione a proteggerci dalle derive assolutistiche. Vero; ma le Costituzioni si possono modificare e stravolgere nei fini e nelle applicazioni, come accade in quelle false “democrazie” che ho citato in precedenza. Nella destra, o centrodestra,  italiana ci sono fior di politici fedeli alla più generosa democrazia; ma non ci sono solo questi. Non vorrei che domani si riproducesse il caso di un  Ministro dell’Interno  che agisce senza dar conto al Presidente del Consiglio e al Consiglio dei ministri a proposito  dei delicatissimi e  complessi problemi delle immigrazioni, dello ius soli et culturae, della sicurezza urbana, dei rapporti di genere, con un decisionismo che, inevitabilmente, qualcuno, per semplificare, collegherà a vecchie pratiche, nostalgicamente ricordate da taluni  nei propri pensieri.

Grazie dell’ospitalità

Francesco Mattioli”

 

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