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Draghi è un politico ? Per Francesco Mattioli certamente.

Draghi è un politico ? Per Francesco Mattioli certamente.

Direttore

Viterbo, 21.9.22 – Conversando con l’amico prof. Mattioli avevo sostenuto la superiorità della politica alla tecnocrazia, in quanto passate esperienze di governo i tecnocrati non sempre avevano soddisfatto le aspettative che i cittadini in essi avevano riposto. Quindi, anche Mario Draghi, da me ritenuto tecnocrate e non politico, lo ritenevo pertanto inadatto ad un “Draghibis”.

Mi ha risposto il Prof. Mattioli con le seguenti note che voglio parteciparvi

“Caro Direttore,

eccomi ancora una volta da Te, per togliermi sociologicamente il solito sassolino dalla scarpa. 

         Qualche giorno fa mi sono trovato a discutere amabilmente con te sul ruolo che i “tecnici” possono rivestire nella conduzione di una nazione.  Concordavamo sul fatto che talvolta si può ricorrere ad essi per sciogliere una situazione di stallo e per dare una risposta urgente e concreta a certi problemi di particolare gravità. Negli anni novanta fu un must nella politica locale: ricordo di essere stato nominato assessore provinciale alla cultura come “tecnico esterno”, assieme ad altri esperti dei vari rami amministrativi . Sembrava quello il modo migliore per dare risposte professionali, concrete, per certi versi oggettive ai problemi emergenti dal territorio.  Il ricorso ad un Presidente del Consiglio di estrazione “tecnica” avvenne più tardi con il governo Monti, per affrontare la grave crisi finanziaria del 2008, e ultimamente con il governo Draghi, un governo praticamente di unità nazionale (con poche eccezioni) per fronteggiare le gravi conseguenze della pandemia al posto di un Parlamento altrimenti frammentato e diviso.

         Convenimmo che tuttavia il ricorso ai tecnici doveva essere un’ultima ratio di fronte a urgenze pressoché drammatiche. Perché il tecnico ragiona da tecnico, cioè scegliendo la strada razionale, e più breve, per ottenere il risultato migliore, in una logica di efficienza.   Di contro il politico, che deve tener conto della dimensione storica, culturale e sociale del Paese, ragiona in termini etici, ideologici, valutando le possibilità, le opportunità, le priorità. Le strade della politica possono essere più tortuose, complesse, difficili, ma fanno più strada. Applicando una logica efficientistica e razionalistica potremmo trovarci di fronte ad una vera e propria dittatura tecnocratica: perché al potere religioso ci si può opporre con una fede diversa; al potere ideologico si può contrapporre un sistema etico differente; ma ad un criterio di scelta fondato sull’”oggettività” matematica della scienza, come ti opponi?         In realtà, la società, in specie la democrazia, va governata secondo sistemi che possono essere sognati, ideati, contraddetti, migliorati, comunque sottoposti ad un esame etico.

         Detto questo, verrebbe da dire che il governo Draghi non poteva che essere a tempo determinato e che doveva avere un termine di scadenza, come le mozzarelle, buone finché sono fresche, cattive e senza sapore se vanno per le lunghe. 

         Ma sorge la domanda: il governo Draghi era veramente un governo tecnico? Le sue scelte sono state soltanto quelle che potremmo trovare in un buon manuale di economia e finanza? Coloro che aspirano a sostituirsi a lui manifestano una più pregnante cultura e sapienza politica?

         La domanda sorge perché l’organizzazione internazionale Appeal of Conscience Foundation, che annovera tra i suoi membri grandi campioni della democrazia e i illustri campioni delle scienze politico-sociali, ha insignito Mario Draghi del titolo di migliore Statesman of world per il 2022.  Statesman significa “uomo politico”; quindi Draghi non è stato premiato come esperto di economia e finanza  (ovviamente, lo è) ma come politico, cioè come un soggetto che ha saputo fare scelte politiche, di valor etico nel suo ruolo di Presidente del Consiglio dei Ministri in Italia.

         D’altronde la motivazione del premio è chiara: “per la lunga e poliedrica leadership nella finanza ma anche nel pubblico servizio, di cui hanno beneficiato l’Italia, l’Unione Europea e che ha aiutato la cooperazione internazionale”.  Faccio notare alcuni dettagli: la leadership non consiste nel comandare, ma nel guadagnarsi una legittimazione condivisa nel guidare le scelte di una collettività, in tutte le sue sfumature sociali; si parla di pubblico servizio, quindi della capacità di captare i bisogni comuni, di concordarne il valore e nel raccordare risposte soddisfacenti; infine, e soprattutto, la capacità di tenere unita l’Unione Europea e di sostenere la cooperazione internazionale: azioni che sono prioritariamente di natura politica, perché implicano scelte, anche ideologiche,  non la mera applicazione di regole dell’economia.

         Draghi quindi è un politico. E quindi non è stato “fatto fuori” perché era giunto il momento che i politici riprendessero la guida del Paese, compito che attiene loro, ma semplicemente perché intralciava i loro piani, le loro aspirazioni, i loro interessi di partito.

         Per  carità, fa parte della politica anche questo; “ è la politica, bellezza” verrebbe da dire parafrasando l’Humphrey Bogart de L’ultima minaccia.  Ma nessuno speri di essere seriamente credibile quando proclama che rispetto a Draghi “ è ora che la politica si riprenda il suo ruolo nel governo del Paese”.  Di fronte ai tanti nani della politica nostrana, suona quasi ridicolo. Anzi, a vedere certe esibizioni elettorali, tragicamente grottesco.

Grazie dell’ospitalità

Francesco Mattioli

A questo punto, dobbiamo ritenere che non aver chiamato Mario Draghi al governo almeno dieci anni prima ci siamo persi un’occasione e forse risparmiato danni ?

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