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Dall’agricoltura ed allevamento viterbese un grido di dolore

A rischio il PIL della Tuscia

del Direttore

Viterbo,12.9.22- L’agricoltura e l’allevamento sono da millenni per la Tuscia le attività economiche più presenti.

Dalle pianure della maremma laziale, alle colline dei Cimini, l’attività agricola ha trainato l’economia provinciale anche in tempi difficili del passato.

Ma ha sempre resistito.

La caparbietà della gente contadina, l’amore per il proprio lavoro, ha sempre avuto la meglio sulle avversità.

La disastrosa annata 1956 per le nevicate e gelate che azzerò un’annata agraria, poi, le periodiche  alluvioni nella Valle del Tevere non hanno mai fatto deflettere gli imprenditori agricoli dal proseguire.

Anzi, con la recente diffusione della corilicoltura la Provincia si pone all’avanguardia nell’intera economia agricolo del Lazio.

Oggi, però, nubi dense si annunciano sul comparto. I recenti aumenti delle materie prime necessarie per le colture (Fertilizzanti e fitosanitari, carburanti) hanno steso un velo di mestizia sui più.

L’improvviso aumento da qualche mese di tutto il necessario per la prosecuzione in attivo di un’azienda agraria e di allevamento ha creato sgomento. Dovunque si sente ascoltare che molti, in particolare i più piccoli e meno strutturati imprenditori, stiano per lasciare le produzioni in attesa di tempi migliori. L’aumento dei costi, di certo non finito insieme al calo della domanda dei consumatori non promettono certo nulla di buono e stanno erodendo i ricavi.

L’investimento in agricoltura, si sa, conosce le variabili meteo e ci sta, sia pure di malavoglia. L’azienda agraria è una “bottega senza tetto” e già di per se non protetta da gelo e siccità. Comunque è già nel conto.

Ma, adesso, anche gli agricoltori ed allevatori che mai in precedenza avevano tirato le somme delle loro aziende spesso gestite al minimo del guadagno, ma sempre vissuti nella speranza dell’annata buona futura, stanno facendo i conti e stanno diventando come le aziende commerciali che al primo calo di fatturato, tirano giù la serranda.

In una previsione economica, quindi. se il meteo può mettere in crisi il risultato, assolutamente non era previstosto un prezzo del gasolio agricolo ad euro 1,45, dopo che anche la Regione aveva operato tagli alla dotazione di ogni azienda; altrettanto i fertilizzanti schizzati a prezzo di tre cifre al quintale in pochi giorni.

Il mercato agricolo è retto da prezzi fissati dai mercati che non sono neppure in Europa ( per es. quello del grano si fa a Chigago), quindi con meccanicismi che tengono conto delle produzioni mondiali, ciò impedisce al produttore agricolo nostrano di poter intervenire sul prezzo con rapidità. comunque la rapidità di variazione dei listini, che non è sempre facilmente praticabile dagli agricoltori ed allevatori si ripercuote sulla domanda, proprio quella che langue per la enorme perdita di spending power dei cittadini. Il carrello del supermercato si è alleggerito e si riempie di prodotti low cost, di conseguenza escludendo quelli premium che sono proprio quelli prodotti made in Tuscia.

Certo, per una massaia che va a fare la spesa, l’acquisto di un litro olio d’oliva a poco meno di tre euro è allettante, ma quello nostrano vero, mai potrà essere venduto a quel prezzo e resta sul banco.

Tutto questo sta scoraggiando molti imprenditori a proseguire e l’intenzione per molti di lasciare i campi incolti.

Preparare le colture per l’autunno inverno in questi giorni appare un azzardo. Non si sa cosa potrà succedere tra qualche mese con i costi crescenti dell’energia. Si va a rischio avere i prodotti pronti per la raccolta, ma a costi esorbitanti forse non sanabili dalle vendite. Per es., i costi degli allevatori per produrre il latte nelle loro aziende energivore non sono ben definiti nel futuro, ma il prezzo è fermo e politicamente mantenuto tale.

Nel frattempo, l’azienda rischia chiudere dopo aver prima ridotto i propri ricavi, ma non può continuare in perdita.

Non vogliamo proprio dover registrare che dopo la crisi industriale del comparti ceramico a Civitacastellana, anche all’abbandono delle campagne, consegua il crollo delle produzioni ed il calo del PIL provinciale.

 

 

 

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