Un buco di alcune ore nella giornata di Alina Elisabeta Ambrus da riempire ad ogni costo. Ma che per il momento rimane totalmente buio. Quel lasso di tempo che andrebbe dall’acquisto del farmaco per indurre le contrazioni e il momento effettivo in cui all’interno del suo appartamento in Via delle Piagge avrebbe dato alla luce la piccola, morta poco dopo.
”Bisogna capire se abbia parlato e interagito con qualcuno. Bisogna verificare se sia stata materialmente aiutata da altre persone”. Un dettaglio non di poco conto, quello sollevato dall’avvocato Samuele De Santis, che di fatto potrebbe alleggerire la posizione di Graziano Rappuoli, l’infermiere, 57enne di Tuscania, alla sbarra per omicidio volontario. Secondo la Procura, avrebbe aiutato la giovane rumena a dare alla luce la piccola di 28 settimane e poi a sbarazzarsi del corpicino, gettandolo in un cassonetto di Via Augusto Salieri.
”Che abbia falsificato la ricetta medica per acquistare il farmaco è cosa ormai nota. È stato lui stesso ad ammetterlo durante il suo esame in aula – sottolinea il legale – ma da quell’istante c’è tutta una serie di ipotesi che si spalancano, e che vanno verificate”.
Dopo l’acquisto, la Ambrus, il 2 maggio del 2013, era sola in casa quando ha assunto la dose di Cytotec? È stata aiutata da qualcuno? E, nel caso, chi era con lei all’interno dell’appartamento? Tanti interrogativi e nessuna risposta certa. Nemmeno dall’ex dirigente della squadra mobile di Viterbo, Fabio Zampaglione.
”Non abbiamo verificato se la giovane abbia avuto contattati con altre persone tra il momento dell’acquisto e l’assunzione del farmaco. Abbiamo solo un messaggio inviato dal cellulare della donna all’odierno imputato. Chiedeva aiuto per i forti dolori. Era preoccupata per la sua salute. Nulla di più”.
Il resto poi è storia, più che nota. Arrivata in ospedale preda di crampi addominali e un’emorragia in corso, avrebbe dopo alcuni attimi di esitazione confessato tutto ai poliziotti: poche ore prima all’interno del suo appartamento nel quartiere di San Faustino avrebbe dato alla luce la piccola e poi se ne sarebbe sbarazzata gettandola in un cassonetto.
Da qui l’accusa di omicidio volontario e occultamento di cadavere (la donna è stata condannata a 10 anni di reclusione, nonostante da tempo sia irreperibile, ndr) anche a carico dell’infermiere, che le avrebbe fornito la ricetta per reperire il medicinale. Ma ora un colpo di scena. ”Bisognerà capire chi ha aiutato la Ambrus ad assumere il Cytotec e chi era con lei nel momento in cui sono arrivate le prime contrazioni. Su di lui dovrebbero cadere le responsabilità di quella morte. E non sul mio assistito”.
Si tornerà in aula a marzo.