L’inserto Cultura di Repubblica di sabato 3 giugno 2017, ha dedicato un ampio spazio alla tesi dello storico dell’arte Antonio Rocca, ormai viterbese d’adozione, secondo cui l’impianto del Sacro Bosco di Bomarzo, concluso tra il 1552 ( l’itinerario che si può definire iniziatico) e gli anni ’70 del Cinquecento (il giardino classico), deriverebbe da quella “Idea di Theatro della sapienza” al contempo un’enciclopedia del sapere e un’immagine del cosmo, ovvero un edificio della memoria rappresentante l’ordine della verità eterna e i diversi stadi della creazione che Giulio Camillo Delminio, umanista e erudito veneto, tradusse probabilmente per volere del re di Francia Francesco I, in un preziosissimo volume (e forse in un modello ligneo) illustrato da Tiziano Vecellio e andato distrutto nell’incendio dell’Escorial.
“Di quell’ immenso lavoro resta fortunatamente – spiega Rocca – uno schema semplificato elaborato per il governatore di Milano, Alfonso d’Avalos, nel 1544. Camillo morì poche settimane dopo e non poté riprendere quel testo che fu pubblicato, col titolo di Idea del Theatro, nel 1550. L’Idea è un libello nel quale l’universo è rappresentato come un dispositivo sinottico, il Theatro, nel quale l’energia divina s’irradia in sette colonne, coincidenti con i cieli di Tolomeo, per poi precipitare nella sfera terrestre e divenire mondo in sei fasi, corrispondenti ai giorni della creazione […] Il teatro bomarzese, con la sua scena in pendenza, non è quindi frutto di un errore grossolano, ma è la chiave del progetto dell’Orsini. Ha sette sezioni, corrispondenti ai cieli di Diana-Luna, Marte, Mercurio, Giove, Venere, Saturno e di Apollo-Sole, e sei gradi, che sono le fasi previste da Camillo. Dopo aver avuto visione del nudo schema del creato, l’ospite di Vicino poteva avviare il suo tragitto anagogico aggirandosi tra le immagini di memoria, divenute pietre, sino a raggiungere la purificazione dopo essersi lasciato alle spalle i mali del mondo e gli inganni dei sensi”.
L’itinerario del giardino ‘ermetico’ di Bomarzo si sviluppa quindi tra la casa pendente, dedicata all’amico cardinale Madruzzo, e il tempietto, omaggio alla memoria della moglie Giulia Farnese, figlia di Galeazzo Farnese, del ramo di Latera, e di Isabella Anguillara, morta nel 1560.
Nel mezzo l’Antro delle ninfe, le Grazie, la Venere, Nettuno, il Drago, l’Elefante, la Fanciulla col vaso sul capo, il Vello d’oro, la Bocca tartarea, Pandora, Cibele, le Furie, Pan e Cerbero, che tanto impressionarono Salvator Dalì nella sua visita a Bomarzo del novembre 1948 e di cui si trovano tracce in alcune delle sue illustrazioni per l’ inferno dantesco del 1960.
Quelle citate sono creature tratte dal “Theatro” di Giulio Camillo del quale Rocca evidenzia la perfetta concordanza logica, cronologica e iconologica con il Sacro Bosco di Bomarzo, seguendo una geniale quanto trascurata intuizione di Elémire Zolla (1926-2002): Vicino Orsini e Camillo Delminio si erano infatti conosciuti a Venezia e lo stesso Ludovico Domenichi che cura l’edizione della “Idea di Theatro” per i tipi di Torrentino, era un amico di lunga data dell’ Orsini.
Si può definire insomma, il Sacro bosco di Bomarzo, un ipertesto di pietra del Cinquecento, alla cui genesi e attuazione, hanno contribuito personaggi degni di ogni favola che si rispetti: un re prima (Francesco I) e un nobile poi, (Pierfrancesco Orsini alias Vicino) entrambi illuminati e caparbi, e un geniale visionario (Giulio Camillo detto il Delminio) la cui “Idea di Theatro” è sopravvissuta ad un incendio e all’oblio eterno, per misteriose affinità elettive dipanatesi tra re, visionari, artisti, storici e letterati per quasi cinquecento anni.