Lo specismo in quanto cultura è un tutt’uno col machismo, e quindi con l’omofobia e il maschilismo. Sostanzialmente le cosiddetta “vegefobia” ovvero la fobia/idiosincrasia nei confronti dell’alimentazione vegetale e di vegetariani/vegani deriva da una cultura machista, che specialmente a livello popolare vede l’uomo forte e virile in quanto si nutre di carni animali, ben distinto dall’uomo “effeminato” che si nutre di verdure (con tutte le battute da bar annesse).
Questo tipologia di uomo è appunto condannato in quanto si avvicina alla donna, che è quindi ritenuta termine di paragone in negativo e degradante per il maschio. Il disprezzo di fondo per la donna, ricapitolando, fa sì che la cultura dominante e chi la difende condanni e ridicolizzi la scelta di non mangiare animali.
Non c’è un’altra vera causa “filosofico-ideologica”, a parte l’imprinting nutrizionale dell’individuo e l’influsso del marketing capitalistico. Sostanzialmente quindi “se non mangi la carne sei frocio”, embè ci voleva ‘sto pippone per arrivare a questa ovvia osservazione?
Sì, perché il fatto grave non è tanto che questa visione venga difesa dagli individui maschi ma che venga propugnata anche dalle donne stesse! Perché ad ogni “le oche le rispetto tutte”, “ti piace il cetriolo”, “senza carne non jela fai a scopa’” , “il seitan è da froci” e “ma le vegane ingoiano?” sono tutte le donne a rimetterci, di qualsiasi dieta, anche se molte non se ne rendono conto e anzi assecondano il becero perché “e fattela na risata”.
Esse stanno inconsapevolmente suffragando un’idea della donna come essere inferiore, appunto come l’animale non umano, e non a caso è tutto un fiorire di “cagna”, “scrofa” e “vacca”.
Per umiliare la donna la si paragona all’animale da allevamento/compagnia e per umiliare l’uomo lo si paragona alla donna; è una piramide in cui il maschio umano sta in cima e non sempre, del resto, è molto più consapevole di essa rispetto all’ultimo topo da laboratorio femmina che si trova alla base.