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Foibe, Viterbo ricorda i suoi figli

Nel Giorno del Ricordo diverse le manifestazioni, domenica un corteo in città

Il tavolo dei relatori

Il tavolo dei relatori

Angeletti Finimaldo, nato a Nepi; Bacchi Augusto, nato a Acquapendente; Bigerna Otello, nato a Acquapendente; Brocchi Francesco (detto Franco), nato a Civita Castellana; Carosi Ennio, nato a Carbognano; Celestini Carlo, nato a Viterbo; Corinti Pierino, nato a Castiglione in Teverina; Lupattelli Luciano, nato a Vetralla; Mancini Giulio, nato a Civitella d’Agliano; Merlani Cesare, nato a Viterbo; Quadracci Vincenzo, nato a Bassanello; Ricci Giovanni, nato a Bassano in Teverina; Tamantini Fabio, nato a Viterbo; Tiburzi Giovanni, nato a Cellere. Tutti morti infoibati. È questo l’elenco dei viterbesi che sono morti nelle foibe, oggi è il Giorno del Ricordo istituito nel 2014 con la legge numero 92 per ricordare tutte le vittime di quel tremendo periodo storico.

Ieri in comune, nella sala del Consiglio di Palazzo Priori si è svolta la conferenza stampa di presentazione delle manifestazioni legate a questa giornata e del corteo in programma domenica alle 10:30 con partenza da piazza del Teatro e arrivo a Valle Faul. Alla conferenza hanno preso parte l’assessore Giacomo Barelli, l’assessore Antonio Delli Iaconi, Marco Ciorba presidente del consiglio comunale di Viterbo, il presidente dell’associazione 10 febbraio Maurizio Federici, il direttore provinciale Silvano Olmi e il generale Antonio Lauriccia, nato a Fiume, testimone di quegli anni e di quelle vicende che lo hanno coinvolto personalmente insieme alla sua famiglia. Una giornata per non dimenticare le vittime italiane e viterbesi delle Foibe, ma non solo un modo per non dimenticare un pezzo importante della nostra storia e della nostra identità che viene ancora oggi minata da chi nega questa verità ormai accertata. Questo il senso dell’incontro di ieri in cui è stato anche espresso il rammarico per le voci secondo cui molte cariche dello Stato, non presenzieranno le manifestazioni nel Giorno del Ricordo, a cominciare dal Capo dello Stato, che ha fatto sapere che non sarà presente agli incontri.

Il generale Antonio Lauriccia

Il generale Antonio Lauriccia

Giacomo Barelli ha assicurato che: “Noi ci saremo come istituzione ma anche come cittadini, personalmente ero già vicino all’associazione prima di diventare assessore e mi dispiace sapere che le Istituzioni nazionali non ci saranno, ma questo è un pezzo della nostra storia che noi ragazzi del 76 non abbiamo studiato perché non era scritto nei libri di storia, ora sono contento che i giovani d’oggi sappiano come sono andate le cose”. Antonio Delli Iaconi ha precisato che: “Quello che serve in questo giorno è la partecipazione delle persone e delle istituzioni, io ci sarò anche il sindaco sarà presente per ricordare le vittime”. Silvano Olmi ha spiegato che: “C’è stata una grande ricerca storica per rintracciare i 14 nomi dei viterbesi trucidati in quel periodo, è triste pensare che ci sono ancora persone che negano quello che è successo”. Maurizio Federici ha ribadito che: “Siamo stanchi dei negazionisti e siamo pronti ad intraprendere azioni legali contro chi nega ancora questo massacro di italiani”. L’intervento più forte e sentito però, è stato quello del generale Antonio Lauriccia: “Sono nato a Fiume, poi con l’occupazione delle truppe di Tito, io e la mia famiglia ci siamo trasferiti sull’isola di Lussino e poi a Verona, quello che più mi colpì all’epoca fu che i profughi italiani che fuggivano dall’Istria ed arrivavano in Italia, venivano schedati e gli prendevano le impronte digitali perché considerati traditori fascisti, ma non erano tutti fascisti. Purtroppo ancora oggi sto combattendo la mia battaglia per avere documenti e un codice fiscale italiano, visto che il luogo in cui sono nato all’epoca dei fatti era territorio italiano e io sono e mi sento italiano”. Toccante il momento in cui il generale Lauriccia, alla fine del suo intervento ha letto alcuni passi del libro “L’Esodo” non riuscendo a trattenere le lacrime. Oggi intanto ci sono ancora italiani a cui è stata negata la pensione per problemi con i documenti e il codice fiscale di chi nacque in Istria e Dalmazia in quel periodo, molti parenti delle vittime devono pagare per andare a visitare le salme dei propri cari nei cimiteri slavi ed alcuni di questi sono spariti per negare l’esistenza dei massacri.

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