Siena, 6 marzo 2013. David Rossi, allora responsabile della comunicazione di Monte dei Paschi, muore dopo essere caduto dalla finestra del suo ufficio nella sede della banca di Rocca Salimbeni.
Sulle prime si parla di suicidio ma con il passare dei giorni prende sempre più piede l’ipotesi che la morte di Rossi sia stata, forse, voluta da qualcuno. Che il professionista toscano, a causa di dinamiche interne, oscure, della banca senese possa essere divenuto scomodo? Sapeva troppe cose, forse non era convinto a tacerle o ad assecondare le irregolarità viste? Quello che è certo è che Rossi era stato a lungo stretto collaboratore, in quanto responsabile della comunicazione, dell’ex presidente dell’istituto di credito Giuseppe Mussari. Con lui ha vissuto la discussa acquisizione di Antonveneta, un’operazione finanziaria fallimentare, su cui forse era venuto a conoscenza di particolari scomodi.
Dopo la sua tragica fine, immediata è stata la sensazione di trovarsi di fronte all’ennesimo caso oscuro della storia italiana. L’inchiesta portata avanti nelle settimane, mesi e anni seguenti ha presentato troppe incongruenze: dalle modalità della caduta dalla finestra (di spalle, modalità anomala per un suicidio) alle condizioni del corpo di Rossi (un livido sull’avambraccio, come un’impronta della presa di una mano; una contusione di sette centimetri per dieci all’altezza dello stomaco; una ferita dietro la testa e un’unghiata tra il naso e il labbro), fino ai momenti precedenti e poi successivi al tragico volo (strane email mandate in mattinata all’amministratore delegato Fabrizio Viola, l’ultima con oggetto “help”; un numero digitato dal suo cellulare dopo la caduta, 4099009, forse un conto bancario?).
Ieri pomeriggio, alla Biblioteca Consorziale, è stato ospite del Sal8 delle 6 di Pasquale Bottone il fratello Ranieri, che da 4 anni sta portando avanti la battaglia per scoprire la verità. Con lui anche Marina Balti, genetista forense, Francesca De Rinaldis, psicologa, e l’avvocato di famiglia Paolo Pirani. Proprio quest’ultimo, prima dell’inizio della conferenza, ha comunicato al pubblico che la Procura di Siena ha fatto richiesta di archiviazione sul nuovo fascicolo per omissione di soccorso aperto sul caso. Il legale, a nome della famiglia e dei consulenti, non ha voluto rilasciare dichiarazioni in merito.
Il racconto del fratello è cominciato da quel maledetto 6 marzo 2013. “Mi trovavo a casa – ha iniziato Ranieri Rossi – ci ha telefonato mia cognata dicendoci di correre perché David era morto. Siamo corsi, non abitiamo vicinissimo, ci abbiamo messo un quarto d’ora per raggiungere la banca e siamo entrati non sapendo cosa fosse successo. Vagavamo all’interno quando ci hanno fatto accomodare in una stanza, non capendo che eravamo i parenti. Abbiamo poi incontrato un collega di David e ci ha portato nel vicolo. Lì ci hanno comunicato che si era suicidato e, poco dopo, che avevano trovato anche i bigliettini a prova del fatto (“interpretabili in una pluralità di modi che smentiscono questa ipotesi” ha detto a riguardo la dott.ssa De Rinaldis che ha effettuato un esame grafologico).
“Difficile dire cosa abbiamo provato – ha proseguito – : una serie di sensazioni che uno pensa di non provare mai in vita sua. Mio fratello lo avevo visto nel pomeriggio, eravamo stati insieme fino alle 16:30. Fondamentalmente era un periodo difficile per la banca e lui, essendo l’addetto alla comunicazione era l’intermediario con l’esterno. Il lavoro era aumentato di molto, doveva affrontare situazioni improvvise e doveva agire velocemente dando i comunicati in base agli ordini che gli venivano impartiti. Non avevamo visto cambiamenti nel suo umore negli ultimi tempi, era preoccupato ma niente di allarmante”.
“David era molto stimato – spiega – per quello che sapeva fare e per la sua professionalità.
Sul lavoro era molto riservato, in famiglia venivamo a sapere le cose prima dai giornali che da lui. Non si vantava mai di quello che faceva anche se andava orgoglioso di alcuni lavori pubblicitari che aveva realizzato con registi del calibro di Tornatore e Bellocchio. Riguardandoli ora, sapendo come è andata a finire, sono un po’ paradossali”.
Anche se il lavoro occupava gran parte del suo tempo, David aveva una vita fuori l’ufficio.
“Lui si interessava un po’ di tutto, leggeva, e quando non lavorava andava in montagna a fare le passeggiate nei boschi e a sciare: faceva una vita assolutamente normale. Era una persona molto riflessiva ma amava anche scherzare con gli amici”.
La morte del fratello è stata uno shock. ”Avevo perso mio padre 3 mesi prima, perdere anche lui a pochi mesi di distanza, non sapendo cosa è successo veramente, ha lasciato degli strascichi insanabili. Sarebbe stato meglio avere subito una risposta piuttosto che rimanere nel dubbio, fosse stata quella del suicidio”.
E la reazione della città, alla scomparsa del responsabile comunicazioni Mps, non è stata delle migliori.
“A Siena del caso se ne parlava poco, c’era molta resistenza da parte dei giornali. Dopo la trasmissione di Report che portò il caso alla ribalta nazionale mi aspettavo frotte di giornalisti sotto casa a fare domande ma a parte qualche trafiletto, minimo, non è uscito niente sulla stampa. Chi si è messo a indagare, cercando i particolari oscuri di questa vicenda, veniva visto come un essere strano, che cercasse chissà quali favole. L’informazione a Siena è sempre stata quello che è, come in tutta Italia del resto: le notizie venivano limate in base alla convenienza”.
Poi qualcosa è cambiato. “La città lo ha sentito più in là, quando il Monte dei Paschi è andato in crisi ed è stata organizzata via Facebook una manifestazione silenziosa per ricordare i 3 anni dalla morte di David: era una giornata indecente, pioveva, ma ci saranno state 500-600 persone a fare quel corteo a piazza Del Monte”
“Se credo o no al suicidio? Se lo ha fatto è una sconfitta – spiega – perché non ha pensato a chi lascia, è una scelta egoistica. Quello che penso io è ovvio, sennò non sarei qui e non mi sarei impegnato tanto per cercare la verità”. “Arrabbiato? Un pochino”, risponde sarcastico da buon toscano.
“Io mi aspetto solo che venga fuori la verità – ribadisce -: o è suicidio o è omicidio. Se è scomoda per il Monte dei Paschi? Non me ne frega niente”.
Riguardo al video shock pubblicato dal New York Post con le riprese degli ultimi istanti di vita del fratello e di due uomini che si avvicinano a controllare il corpo, per poi andarsene, Ranieri non ha dubbi:
“Voi giornalisti avete analizzato che tipo di giornale è il New York Post? E’ un giornale scandalistico che si occupa di queste cose qui. Hanno montato quel video ad arte e credo che abbiano fatto un danno all’inchiesta. Le persone che si vedono nel filmato sono state le prime che hanno soccorso David, montandolo in quel modo siamo passati noi per quelli complottisti. La Procura ha dovuto smentire subito quella ricostruzione con una nota. Quelli del New York Post sono dei cattivi giornalisti, bisogna vedere chi ha dato loro quel filmato…”.
Sulla frase “Ho fatto una cazzata” scritta su dei bigliettini trovati nel cestino dell’ufficio e indirizzati alla moglie, Ranieri dice: “Di cazzate se ne fanno tante, detta in quel contesto poteva significare qualsiasi cosa: forse si era fidato di una persona, forse aveva detto qualcosa di troppo, forse voleva andare a parlare in Procura. A me quel giorno lui ha detto: ‘Un amico mi ha tradito’. Non si è mai capito chi intendesse, di ipotesi ne sono state fatte parecchie e anche di nomi, più o meno noti. Io una cosa però gli ho risposto: ‘Te forse non sai riconoscere gli amici, quelli veri non ti tradirebbero mai’ ”.
“Non vedo una fine breve di questa vicenda – ammette -, forse il colpevole, se è stato un omicidio, non lo troveremo mai. Però sarebbe una grande soddisfazione per la famiglia se la Procura aprisse un’inchiesta per omicidio piuttosto che per omissione di soccorso. Non credo che cambierebbe molto, anche perché le indagini difensive possiamo sempre farle, però – conclude – servirebbe a mandare un segnale”. Il giallo rimane aperto