Talete, Acea, comuni virtuosi, Ato 1, legge regionale numero 5, il Referendum sull’acqua pubblica, qui si rischia seriamente di perdersi in un bicchiere d’acqua e proprio per evitare il peggio e di naufragare in un mare di lungaggini burocratiche che ieri pomeriggio, a Palazzo dei Priori nella sala del Consiglio Comunale si è svolta la riunione indetta dal comitato “Noi non ce la beviamo”, per spiegare agli esponenti delle amministrazioni locali del viterbese quali strade intraprendere per uscire dalla Talete S.p.a. ed evitare l’ingresso di Acea nella società in house.
Tante le problematiche legate all’acqua e alla sua gestione, dalla rete idrica ai dearsenificatori sono molti i nodi da sciogliere, la riunione è iniziata con l’esposizione di Francesco Lombardi del comitato “Noi non ce la beviamo” che ha precisato che: “Questa non è una vera e propria privatizzazione perché è mascherata dalla concessione che si è fatta alla Talete, purtroppo il mondo politico ha le sue colpe, ma si può tornare indietro grazie alla legge regionale numero 5 che prevede un altro modello di gestione dell’acqua come bene comune e non quel modello di gestione sballato che è Talete, imboccare strade diverse significa anche impedire ad Acea di arrivare qui e dunque scongiurare il pericolo che i privati mettano le mani su un bene primario come l’acqua”. Tra i sindaci presenti all’incontro importante ed apprezzato è stato l’intervento del sindaco di Tuscania, Fabio Bartolacci, che ha posto una questione importante: “Ad oggi i comuni che non sono entrati in Talete hanno il blocco delle tariffe dal 2002, mentre i costi di gestione, nel tempo sono aumentati, inoltre c’è una cosa ben più grave che divide la popolazione in cittadini di seria A, quelli dei comuni entrati in Talete e cittadini di serie B, come noi che non abbiamo aderito, i fondi per la manutenzione dei dearsenificatori sono chiusi per i comuni che non aderiscono alla Talete, mentre per quelli che sono nella società i soldi ci sono, tutto questo a danno della salute dei cittadini”.
Ma ci sono anche dei problemi più tecnici come ha evidenziato Mauro Pucci, ex sindaco di Canino: “La cessione della rete idrica e dei servizi legati all’acqua ha fatto sparire i lavoratori dei comuni in favore degli operai della Talete, dunque se oggi si uscisse dalla società i comuni non avrebbero l’apparato necessario per sopperire alle richieste della comunità perché è tutto appannaggio della Talete”. Ma oltre ai comuni che non sono in Talete c’era anche chi ha ceduto il servizio alla società ma vuole tornare indietro come spiega il sindaco di Soriano nel Cimino, Fabio Menicacci: “Quando sono arrivato il comune aveva aderito alla Talete, ma Soriano oggi lavora per uscire dalla società in città paghiamo l’acqua più del vino e sono stato costretto a chiudere diverse fontane pubbliche per i costi elevati di gestione. Inoltre la verità è che in Talete non sono entrati i comuni ma le società che gestivano il servizio per i comuni e oggi stiamo pagando le perdite di quelle società ormai in liquidazione, poi c’è la questione dei contratti che i comuni hanno firmato per entrare in Talete che sono molto lacunosi e poco chiari, noi vogliamo uscire dalla società e per questo diteci come dobbiamo fare”. Secondo i comitati l’unico modo è essere compatti in Ato 1 e cercare di fare pressione al presidente della Regione Lazio per applicare i dettami della legge numero 5. In fondo però la verità è sempre la stessa: il business dell’acqua è un affare troppo grosso per essere lasciato ai piccoli comuni virtuosi, l’acqua è un bisogno vitale, tutti noi ne abbiamo bisogno per vivere, nel mondo che viviamo, dominato dalle regole del capitalismo più spinto dove il profitto è legge non si può perdere l’occasione di guadagnare su un bisogno così diffuso e così necessario per vivere.