Innanzitutto, un chiarimento: con troppa facilità si usa il termine femminicidio. Ogniqualvolta perde la vita una donna, l’associazione con quella parola è inevitabile. E invece le cose non stanno così perché femminicidio è qualcosa di legato ad una donna uccisa in quanto tale: cioè un delitto connesso all’essere umano di sesso femminile. Molto più spesso si deve parlare di partnericidio. Qualche esempio? Il caso di Melania Rea e del marito Salvatore Parolisi; quello di Roberta Ragusa ancora in fase di definizione; quello di Chiara Gambirasio, ma non Yara e neppure Sara Scazzi.
La disquisizione non è solo semantica, piuttosto scientifica: si interessa della materia la criminologia, quella seria non quella sbandierata spesso a caso nei salotti televisivi. Se ne parla al Salotto delle 6 con Pasquale Ragone, giornalista e direttore della rivista specialistica on line “Cronaca e Dossier”, e la psicologa forense Alessandra De Rinaldis. Entrambi concordi nel criticare la spettacolarizzazione dei casi di cronaca più eclatanti e l’uso spregiudicato del mezzo televisivo con una conseguenza grave: “La tv – scandisce la De Rinaldis – ammazza la scienza. Chiunque, senza preparazione specifica, si sente in dovere di dire qualunque cosa e questi pareri finiscono con l’influenzare la verità processuale. Non solo, ma i consulenti di parte per deontologia professionale devono astenersi dal partecipare a trasmissioni in cui si parla di casi in cui sono direttamente coinvolti. Purtroppo non accade molto spesso”.
“Una responsabilità – aggiunge Ragone – è anche più in generale dei media. Il sangue tira sempre, ma romanzare storie crudeli ed efferate non è esempio di buon giornalismo. La gente resta affascinata e risponde con entusiasmo, mi si passi l’espressione, di fronte a situazioni ammantate di mistero anche in modo eccessivo”. Non si contesta il diritto di cronaca, ma l’esagerazione, il voler a tutti i costi forzare toni ed espressioni. Magari la caccia al particolare più scabroso e l’utilizzazione di filmati e fotografie che forse si farebbe bene a tenere chiusi nel cassetto.
Il discorso si allarga ai casi di infanticidio. “Ricordiamo tutta la storia di Cogne – ancora Pasquale Ragone – e il clamore mediatico nei confronti della Franzoni. Era la prima volta che in Italia avveniva un delitto del genere. Analogo interesse non l’ho riscontrato con la vicenda di Veronica Panarello e del piccolo Loris. Non è che ci stiamo abituando alla violenza? Non è che cominciamo a considerare normale che una madre possa uccidere il figlio?”. “La donna che per natura dà la vita e che la toglie al frutto del suo grembo – rincara Alessandra De Rinaldis – è l’atto più eclatante e più aberrante. Ma ogni caso ha una sua peculiarità, non bisogna generalizzare”.
Il tema dell’incontro è caratterizzante: “Donne e delitti. Dalle madri assassine alle vittime di violenza”. Già, ma come si previene la violenza su una donna? Ragone la prende alla larga: “La violenza è figlia del desiderio del possesso da parte dell’uomo”. “Ed è conseguenza di una carenza di capacità relazionali – aggiunge De Rinaldis – La vittoria dell’avere sull’essere con il possesso che giustifica la violenza, fisica e, ancor più terribile, quella psicologica, che può sfociare pure nell’omicidio”. L’unica forma di prevenzione è l’educazione, nel senso letterale della parola: dal latino ex ducere, cioè tirare fuori. Quindi educare non significa inculcare nozioni e regole, ma sviluppare nell’altro la sua capacità di emergere e di diventare diverso e migliore. Attenzione però ai cosiddetti “reati sentinella”, cioè ingiurie, percosse, maltrattamenti, soprattutto lo stalking: spesso sono i prodromi di qualcosa di molto più grave. La conclusione non è molto incoraggiante: “Per un caso che emerge – sottolinea De Rinaldis – ce ne sono molti altri in cui le donne evitano di denunciare. Per due motivi fondamentali: la vergogna e un senso di sfiducia nelle istituzioni”. Già, ma così si dà più forza ai violenti: purtroppo la verità è questa.