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Chi rapì davvero Emanuela Orlandi?

Al Salotto delle 6 il racconto del giornalista Fabrizio Peronaci: intrighi e misteri non risolti

 

Fabrizio Peronaci

Fabrizio Peronaci

Un affaire sul quale a 33 anni di distanza ancora non si riesce a far luce. Un intrigo internazionale in cui c’entrano poteri fortissimi e che, magari, in altri Paesi non sarebbe finito con un nulla di fatto. Il rapimento e la scomparsa di Mirella Gregori e Emanuela Orlandi risalgono al 1983, ma da allora non si è ancora arrivati ad una definizione dei mandanti e degli esecutori materiali, anche se un velo sulle motivazioni è stato squarciato. Il merito è di Fabrizio Peronaci, capo servizio del Corriere della Sera, ospite del primo appuntamento (presso la sala conferenze della Biblioteca Consorziale) del Salotto delle 6, la fortunata iniziativa ideata e curata da Pasquale Bottone che propone temi legati da un comune denominatore: Giallo Cronaca. Cioè un insieme di vicende e di misteri, in larga parte ancora irrisolti, che hanno caratterizzato la storia italiana.

Dunque, Mirella ed Emanuela furono rapite ad un mese di distanza l’una dall’altra nella primavera di 33 anni fa. Perché? “I fatti vanno inseriti – spiega Peronaci – in un contesto storico e politico ben preciso e proprio questo aiuta a capire che cosa successe davvero. Nel 1981 Giovanni Paolo II è vittima dell’attentato in piazza San Pietro, l’anno seguente muore il banchiere Roberto Calvi sotto il Ponte dei Frati Neri a Londra, quindi la vicenda delle due ragazzine e nel 1984 l’accordo per sanare la situazione dello Ior, la banca vaticana. Alla base c’è soprattutto il viscerale anticomunismo di papa Woytila e la presenza in Vaticano di una forte componente che si oppone a questa scelta del pontefice polacco. Quando Alì Agca, che sicuramente non aveva agito da solo come si è voluto far credere, comincia in carcere a coinvolgere i servizi segreti bulgari, quella fazione capisce che bisogna far qualcosa”.

Pasquale Bottone

Pasquale Bottone

Sembra un romanzo, eppure è la realtà: si cominciano a seguire le due giovani e quindi si arriva al rapimento. “C’è un testimone, Marco Accetti, che si autoaccusa e che lo fa senza trarne un vantaggio personale. E’ lui che, ad esempio, chiama la pensione per prenotare una camera ad Agca ed è lui che fa ritrovare il flauto di Emanuela, riconosciuto come tale dai parenti della ragazza. In sede giudiziaria non è stata fatta la perizia fonica per verificare se davvero era sua la voce e nemmeno si è approfondito il discorso sullo strumento musicale. Alla fine tutto archiviato”. Il motivo per cui preoccupava tanto l’azione di Giovanni Paolo II risiedeva nel fatto che non c’era voglia di turbare l’equilibrio creato dalla guerra fredda: due grandi blocchi contrapposti che si fronteggiavano, che non si stimavano, ma che mantenevano una situazione di calma nel mondo. “Quando Alì Agca comincia a parlare dei bulgari – aggiunge Peronaci – ci si rende conto che va fermato perché il coinvolgimento di Sofia nell’attentato significa chiamare in causa Mosca e allora gli si fa balenare la promessa della grazia. Come ottenerla? Facendo pressioni sul Vaticano e sull’Italia: il primo perché non si opponga almeno in maniera palese e forte, la seconda perché quel provvedimento è del presidente della Repubblica. E così finiscono impigliate nelle rete due innocenti ragazze. Poi parte la corsa a coprire, a insabbiare, ad evitare che si scavi a fondo. Agca coglie dal rapimento il segnale che aspettava e comincia a ritrattare: alla fine darà 103 versioni, quindi non è credibile e infatti i tre bulgari coinvolti vengono assolti. Accetti giustifica di aver parlato solo tanto dopo col fatto che fino a quando in Vaticano c’era Ratzinger non sarebbe stato mai creduto perché secondo lui papa Benedetto sapeva”.

Ma c’è un’ulteriore novità perché in queste settimane sta dicendo quello che sa un anziano ecclesiastico: “Sostiene che la Congregazione dei Benedettini custodisce il segreto di Emanuela, che già il 7 febbaio 1983 l’allora nunzio apostolico a Parigi Angelo Felici aveva segnalato a Roma che i servizi segreti francesi parlavano del possibile rapimento di cittadini del Vaticano. Vedremo che cosa ne verrà fuori, ma senza le inchieste di ostinati giornalisti forse tutto questo non sarebbe stato possibile. Forse i poteri forti questo non lo avevano messo in conto e soprattutto non era stato considerato che Pietro Orlandi a distanza di 33 anni continua ostinatamente a cercare la verità sulla scomparsa della sorella”.

Un momento della conferenza

Un momento della conferenza

E qui si tocca un tema forte: esiste davvero un giornalismo di inchiesta in Italia? “Esiste, ma si limita a poche eccezioni – risponde Fabrizio Peronaci -. In altri Paesi è molto più sviluppato e rappresenta un baluardo per democrazia. I giornali troppo proni verso i poteri non servono e non sono utili, perché non informano i cittadini. Alla fine si arriva alla banalizzazione e al cosiddetto effetto melassa. Ed è esattamente ciò che vuole chi tende a minimizzare e a nascondere. Silenzi e reticenze non fanno bene allo sviluppo e alla crescita di una nazione: basta con gli scheletri negli armadi”.

Al caso Orlandi, Peronaci ha dedicato un libro che si intitola “Il Ganglio”. Il prossimo, quasi finito, è un’altra inchiesta stavolta dedicata all’ordine dei Carmelitani Scalzi. Anche lì si potranno leggere tanti fatti inediti e sfiziosi.

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